Il processo
- Autore: Franz Kafka
- Genere: Classici
“Il processo” è un capolavoro di Franz Kafka, quello su cui si sono spese più parole, metafora della burocrazia e dell’alienazione. Testo salvato dall’amico Max Brod, “Il processo” esce postumo nel 1926. Libro importantissimo, è quasi assurdo riassumerlo.
Il signor Josef K. viene arrestato ma non si capisce il motivo.
"Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché, senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato. La cuoca della signora Grubach, la sua affittacamere, che ogni giorno verso le otto gli portava la colazione, quella volta non venne. Non era mai successo prima. K. aspettò ancora un poco, guardò dal suo cuscino la vecchia che abitava di fronte e lo stava osservando con una curiosità del tutto insolita per lei, ma poi, stupito e affamato insieme, suonò il campanello. Subito bussarono e un uomo che K. non aveva mai visto prima in quella casa entrò."
Scorgete lo stile asfissiante, ma anche un po’ comico del genio di Kafka, tanto che si ride nella tragedia. Lo scrittore Primo Levi scrive del romanzo in questo modo:
“La lettura del Processo, libro saturo di infelicità e di poesia, lascia mutati: più tristi e più consapevoli di prima.”
Allora il Signor K. in questa tragica e comica vicenda si ritrova in un posto strano, dove gli impiegati lavorano in una sorte di angoscioso soppalco. Faccio parlare Kafka, ma voi dovete comprare il libro e leggerlo:
"La domenica quindi vi si recò di nuovo, percorrendo stavolta senza esitazioni scale e corridoi; alcuni che si ricordavano di lui lo salutarono stando sulla porta, ma lui non ebbe più bisogno di far domande a nessuno, e arrivò presto alla porta giusta. Appena bussò gli venne aperto, e senza neanche voltarsi verso la donna a lui nota, che era rimasta in piedi accanto alla porta, fece per entrare subito nella stanza accanto. «Oggi non c’è udienza», disse la donna. «Perché non dovrebbe esserci udienza?», chiese lui, e non voleva crederci".
Anzi lascio così e voi continuerete la lettura di un testo che riesce ad essere angoscioso e comico all’unisono.
Potete trovare il libro dappertutto, dalla vecchia copia sulle bancarelle alla versione del romanzo lussuoso listato ad oro. Per me, basta averlo e leggerlo.
Il processo
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“Qualcuno doveva aver calunniato Josef F., perché senza che avesse fatto niente di
male, una mattina fu arrestato […] Non era mai accaduto. […] Chi è lei? Chiese K. […]
Ma l’uomo sorvolò sulla domanda, come se tollerare la sua apparizione fosse
necessario. […] Seguirono certe risatine nella stanza accanto. […] Non voglio né
restare qui né che lei mi rivolga la parola, finché non si sarà presentato. […] Lei non
andarsene, lei è prigioniero. Pare di si, disse K. E perché? Chiese poi. Non siamo
tenuti a dirglielo. Vada in camera sua e aspetti. Il procedimento è stato avviato, e lei
saprà tutto a tempo debito. […] Che razza di persone erano quelle? Di cosa
parlavano? A Quale autorità si rifacevano? […] A K. Appariva irrilevante il rischio
che in seguito si sarebbe detto che non aveva capito lo scherzo. […] Non le è
permesso. Ma com’ è possibile che io sia in arresto? E a questo modo? Ora
ricomincia, disse il sorvegliante. […] A queste domande non rispondiamo. […]
Possibile che non riesca a rassegnarsi alla situazione! Sembra che lo faccia apposta a
irritarci inutilmente, noi, le persone che in questo momento le siamo forse più
vicine! […] Non C’è errore. […] Questa è la legge. Dove sarebbe l’errore.? Io non la
conosco questa legge, disse K. Tanto peggio per lei, disse il sorvegliante. […] Ora
non vuole andare in banca? In banca? Chiese K. Pensavo di essere in arresto. […] Lei
è in arresto, certamente, ma ciò non deve impedirle di assolvere il suo lavoro. […]
Allora essere in arresto non è poi tanto male, disse K. […] Lei è in arresto, è vero, ma
non come viene arrestato un ladro. Se uno è arrestato come un ladro, allora è
brutto, ma quest’arresto, Mi sembra una cosa dotta. […] Siete tutto degli impiegati,
come vedo, siete la banda corrotta contro cui ho parlato, vi siete accalcati qui, per
ascoltare e spiare, avete formato partiti apparenti, uno dei quali ha applaudito per
mettermi alla prova, volevate imparare come si abbindolano degli innocenti! […]
Dov’ era il giudice che non aveva mai visto? Dov’è l’alta corte a cui non era mai
arrivato? Alzò le mani e divaricò tutte le dita. Ma sulla gola di K. Si possono le mani
di uno dei signori, mentre l’altro gli piantava il coltello nel cuore e ve lo girava due
volte."
Queste parole sono tratte dal testo "Il processo" di Kafka, dove selezionando alcuni
paragrafi significativi, potete trovare l’inizio e la fine del testo, come l’inizio e la fine
di una vita. Senza un motivo logico, il protagonista K., viene arrestato da sconosciuti
che li piombano in casa. Più volte, come si evince nel testo, questi sorveglianti,
mandati in nome di una giuria misteriosa, gli suggeriscono di non fare tante storie e
non sottrarsi al suo destino già prestabilito, pronto a metterlo sulla gogna. Tuttavia,
si evince un alone di mistero e un senso di ironia e di rabbia del protagonista. Per
esempio l’ironia la possiamo percepire quando i sorveglianti lo informano del suo
arresto, visto però non come una cosa negativa:
“Lei è in arresto, certamente, ma
ciò non deve impedirle di assolvere il suo lavoro. […] Allora essere in arresto non è
poi tanto male, disse K. […] Lei è in arresto, è vero, ma non come viene arrestato un
ladro. “
Il senso di rabbia, di giustizia, di difesa della propria libertà di K. La vediamo
soprattutto quando il protagonista partecipa alle udienze dove, da una parte prevale
in lui un senso di far una buona impressione sulla giuria e dall’altro lato, si nutre di
un sentimento di ribellione e di ingiustizia, sfogando tutto ciò che gli passa in mente
in quel momento:
“Siete tutto degli impiegati, come vedo, siete la banda corrotta
contro cui ho parlato, vi siete accalcati qui, per ascoltare e spiare, avete formato
partiti apparenti, uno dei quali ha applaudito per mettermi alla prova, volevate
imparare come si abbindolano degli innocenti!"
La fine del romanzo kafkiano, lascia il lettore un po’ disorientato, dove ingiustamente Josef K. viene ucciso come un cane, per una colpa senza una colpa, in un vicolo buio, dimenticato da tutti e senza una vera giustizia.
Quest’ ultima non è in grado di accusarlo con delle prove reali concrete, ma anche di difenderlo in nome della libertà.
"Dov’ era il giudice che non aveva mai visto? Dov’è l’alta corte a cui non era mai arrivato? Alzò le mani e divaricò tutte le dita. Ma sulla gola di K. Si possono le mani di uno dei signori, mentre l’altro gli piantava il coltello nel cuore e ve lo girava due volte Dov’ era il giudice che non aveva mai visto? Dov’è l’alta corte a cui non era mai arrivato?" Sicuramente il genio di Kafka sta nel riportare un evento, fuori dal quotidiano, fuori dai soliti schemi, che però seguono la logica del Essenzialismo. Kafka crea personaggi reali , come noi, con un proprio percorso nella vita, che vive la solita routine quotidiana. Quando meno te l’aspetti, succede qualcosa di imprevedibile o di inaccettabile che ti toglie la forza e il coraggio di continuare a vivere. Non sai cosa
fare e decidi di percorrere due strade: di rifugiarti in un mondo parallelo oppure di
trovare la volontà di affrontare la situazione nuova cercando di superarla, pur non
sapendo se l’esito sarà positivo o negativo. La prima la ritrovo nel romanzo di
Pirandello nel “Il fu Mattia Pascal”, in cui si associa l’idea di fallimento esistenziale,
in cui il protagonista adotta il nuovo nome di Adriano Meis, convincendosi che
liberarsi dalla figura sociale di Mattia (il nome, la famiglia, la vita usuale di tutti i
giorni) sia il primo passo di una nuova vita. In Kafka, al contrario, assistiamo più alla
seconda opzione, dove il protagonista K. cerca in ogni modo di scoprire come un
detective, la critica della sua colpa e perché mai è stato accusato e in nome di che
cosa e soprattutto da chi? Tutte queste domande lo perseguiranno fino alla fine.
Tuttavia non riuscirà mai a scoprirlo e forse questo senso lo farà vacillare. Se vi
soffermate solo un momento, non trovate un’analogia con Il Don Chisciotte che
lottava contro i mulini a vento, che sono la metafora della ricerca dell’identità e di
quella persa, dell’uomo. Anche se Kafka, va oltre, lasciando anche un alone di
mistero che per quanto tu possa darti una spiegazione, non riesci a trovarla. Allo
stesso modo l’Uomo, dotato di intelletto, sa darsi tante risposte a quesiti sulla vita,
tuttavia ci sono domande che rimarranno solo all’ingnoto, al fato o per i credenti a
Dio. L’uomo è chiamato a porsi delle domande su di sé e il mondo, ma deve fare
memoria che essendo solo uomo, non potrà mai raggiungere l’infinito. Un’altra
tematica affrontata dallo scrittore è il senso di giustizia, un argomento che alla luce
dei miei occhi lo ritrovo in persone divenute leggende, che cambiarono
profondamente la Storia, come Martin Luther King, che nel 1963 tenne il famoso
discorso con la famosa frase andata alla storia : “ I have a dream”, dove si batteva
nella lotta contro il razzismo oppure L’apartheid di Nelson Mandela e in Abraham
Lincoln, che nel 1854, tenne un discorso contro la schiavitù . Temi come questi e
persone come queste, mi chiedo oggi che viviamo XXI secolo, se saranno presi in
considerazione o lasciate lì nel dimenticatoio, da ognuno di noi. Sta a noi la
decisione finale, guidati dal libero arbitro, essere attori o persone in carne d’ossa
come disse Pirandello :“Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita
incontrerai tante maschere e pochi volti”. “Abbiamo tutti dentro un mondo di cose:
ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle
parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me;
mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno
per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo
mai!”