La regina di Pomerania e altre storie di Vigata
- Autore: Andrea Camilleri
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Sellerio
- Anno di pubblicazione: 2012
In Sicilia frequentare il “Circolo” significava conversare utilizzando la tattica dei motteggi e di pettegolezzi intrisi di sottile e talora crudele sarcasmo. Magnifiche, in proposito, le pennellate di Camilleri nel romanzo "La stagione della caccia" (1992) o nel racconto "La targa" (2011), in cui i personaggi si distraggono, interessandosi alla vita altrui. Tòpos, quello del circolo, che adesso torna ne “La regina di Pomerania e altre storie di Vigata” (Palermo, Sellerio, 2012).
Il volume raccoglie, situandoli in un tempo che va dal 1893 al 1950 e presentandoli senza un filo cronologico, otto gustosissimi racconti dettati da fervida immaginazione. Ne viene fuori un coloratissimo mosaico di vivaci tasselli: “i rituali, gli usi, i comportamenti personali e collettivi di un’epoca che, pur recente, ormai appare lontanissima nel tempo”. Salvatore Silvano Nigro, nel risvolto di copertina, dice che ciascuno di essi:
“Apre lo sguardo sui casi quotidiani di una provincia che vive a rate le balzanerie e le strampalatezze di una società sedotta dalle proprie furbizie e dalle sue stesse ciance”.
La tramatura è magistrale e i dialoghi, oltre a susseguirsi con la forza della spontaneità, hanno un impareggiabile effetto comunicativo. Apre la serie la storia intitolata “Giulietta e Romeo”, dove un ballo in maschera, voluto dal consiglio comunale di Vigàta per inaugurare l’arrivo del 1900, dà luogo a sviluppi situati negli espedienti dell’ astuzia boccaccesca per concludersi nell’amarezza dello “scambio”, tipico dell’universo pirandelliano. Tra il “circolo” e il “paese” nessuno stacco si pone nel secondo racconto “I duellanti” modulato in un crescendo di tradimenti e rivalità, di sfide e azzuffatine che alla fine si armonizzano in una vera e propria festa paesana con la banda musicale, le guardie e la giuria cui spetta l’arduo compito di decidere su una allucinante gara. Immancabile la festività barocca del santo patrono che fa da incipit al terzo racconto “Le scarpe nuove”. Qui, attorno ad una laboriosa famiglia, ha un ruolo addirittura fondamentale un asino prodigio, dapprima chiamato “Mussolini” dal padrone antifascista e “Curù”, poi, dal nuovo acquirente. Ogni racconto, senza scopo moralistico, ha la sua cifra nell’iperbole e nell’enfasi, nell’equivoco, nelle ingenuità e nelle truffe come si può vedere molto bene da quello che dà il titolo all’opera. Gli altri episodi, intorno a personaggi venati di follia, quasi sempre innocua, si esplicano, fra una sceneggiata e l’altra, ora nelle chiacchiere messe in circolazione per ferire (“La lettera anonima”), ora nelle gelosie e nelle piccole vendette (“La seduta spiritica”). Ne “L’uovo sbattuto” il senso del comico è sostenuto dallo scatenamento del sesso che paradossalmente sfocia nel tragico. Nell’ultimo episodio “Di padre ignoto”, la presenza del Verga è individuabile perché vi aleggia, in modo commovente e nel contempo grottesco, il giuoco pressoché magico del destino che si concretizza nelle riflessioni di Amalia, personaggio femminile certamente plebeo, ma capace di riflettere sul senso della vita:
“Allura ad Amalia vinni di considirari, sintennosi pigliari da ‘na botta di malinconia, che aviva sì quattro mascoli, ma che nisciuno di loro, al contrario della farfalla, se l’era voluto lei. Erano loro che l’avivano scigliuta e lei aviva accittato pirchì si era fatta pirsuasa che quello era il so distino. Se fossi stata libbira di scegliri, non si sarebbe pigliata a nisciuno dei quattro”.
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Siamo al secondo capitolo della saga di storie vigatesi, è come se si continuasse a seguire le vicende quotidiane di questa gente senza soluzione di continuità. Assistiamo ormai a dei caratteri, tipo maschere del teatro d’arte e, come dice A.C., non inventati sono i rituali, gli usi, i comportamenti personali e collettivi di un’epoca che, pur recente, appare lontanissima nel tempo. Tra il faceto, motti di spirito, facezie, il ridicolo e il drammatico si consumano beffe, amori clandestini e adulterini con la massima disinvoltura, senza sensi di colpa, un che di beffardo e di compiacimento accompagna le storie come se dietro ad esse l’autore si divertisse a giocare sui destini umani scompigliando disegni e architettoniche geometrie. Idealmente queste storie seguono quelle del libro precedente: “Gran Circo Taddei e….” e accentuano vizi, difetti e apparenti virtù dei personaggi. Il femminino è sentito sempre con una sottile vena di sensualità, di una bellezza fascinosa, affatata ed ammaliante; figure anche animalesche con un che di ferino ( vestia sarbaggia e perigliosa assà), la Manuela di L’uovo sbattuto; alcune indimenticabili come Amalia de Di padre ignoto venerata come una Madunuzza dalla credulità popolare e investita di purezza disarmante. In tutte le otto storie si armonizzano, in apparente difformità di temi, le atmosfere del circolo, dei suoi frequentatori, del popolino povero e spesso asservito ai padroni e i padroni asserviti alle loro beghe meschine e ai contrasti di casta. Camilleri non le lascia a dire a nessuno, preti che di pretesco hanno solo la tonaca, sono mastri d’opira fina pronti a trovare soluzioni che fanno comodo a tutti: la sottile diplomazia curiale non ha eguali!
Ci voleva una seduta spiritica e la complicità di due donne, medium ed aiutante per mettere in berlina un fratello e potersi godere l’eredità paterna a diritto in La seduta spiritica.
Come non citare La lettera anonima, un’epidemia violenta di lettere anonime investe Vigàta nel 1945 e sembrano indirizzate solo agli altri per scoprirne altarini, scheletri negli armadi…e che fa elaborare teorie al professore Bruccoleri del circolo “Libertà & Progresso”, del finomino era addivintato uno studioso assà scutato, argomentava, infatti, quattro categorie di littre con una sola tematica: il letto e le sue conseguenze. Anche a lui come conseguenza inevitabile arriva una lettera anonima che fa vacillare la sua placida tranquillità muliebre…
Il racconto che dà il titolo allo scritto: La Regina di Pomerania è un’opera d’arte truffaldina, nientepopodimeno, Camilleri fa scomodare il console del fantomatico regno di Pomerania che nel nome evoca quei regni d’operetta e che, pur non conoscendone la posizione geografica né l’esistenza, per non sembrare ignoranti, i ricchi del paese abboccano all’amo come tanti beoti, perchè potiri fari affari boni hanno in testa. Sarà un imbroglio colossale: l’esportazione di tutti i cani di Pomerania, in un blocco unico, perché quelli in possesso di privati non fanno razza! Un capolavoro di arguzia!
E che scrivere di Le scarpe nuove, un racconto in cui non c’è da sghignazzare sui questi poveri cristi, che consumano la vita come le scarpe che portano per tutta una vita. Una serie di concause sovvertono il corso delle cose e quel paio di scarpe nuove, tenute gelosamente e con grande cura, saranno, solo, pronte al momento giusto. Questo racconto si adombra di un velo di tristezza e nei paesaggi attorno e negli animi dei protagonisti e in tutta la vicenda che si concatena.
I duellanti. Due, si fa per dire, duellanti si sfidano a suon di gelati, non a chi le spara più grosse, ma a chi ha più alzate d’ingegno per vincere la gara; la loro è una concorrenza di commercio, colpo su colpo, una guerra tra poveri che ha il suo epilogo con la dipartita di uno dei due.
Romeo e Giulietta una storia d’amore finita prima ancora di consumarsi, dell’altra storia omonima e più famosa ha solo in comune la brevità. Maliziosa nelle soluzioni che turbinano attorno alla serata danzante in maschera in cui la musica fa da colonna sonora.
A libro concluso il clangore delle sciarratine, dei colpi di scena e della baraonda umana percuote il sistema uditivo del lettore, come quando si esce dal teatro e le risate e il piacere della serata ci fanno allegri e soddisfatti, insomma ci si è divertiti: e questo non è poco.