Mia madre è un fiume
- Autore: Donatella Di Pietrantonio
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Elliot
- Anno di pubblicazione: 2011
Che piacevole sorpresa il romanzo d’esordio di Donatella Di Pietrantonio. Un amarcord tra madre e figlia, tra una famiglia allargata di contadini della zona del Gran Sasso, in Abruzzo, e il loro rapporto con la contemporaneità, tra una cultura ancora contadina e retrograda e l’avvento di una società avanzata da ogni punto di vista. Il racconto, però, si dipana soprattutto attraverso le maglie di un rapporto difficile fra la narratrice, una professionista affermata e madre a sua volta, e la madre, colpita da una precoce forma di senilità che la rende inconsapevole, disarmata, lontana.
“Ti chiami Esperia Viola, detta Esperina. Come una viola sei nata il venticinque marzo millenovecentoquarantadue, in una casa al confine tra i comuni di Colledara e Tossiccia.”
Così comincia il dialogo, in realtà un doloroso, a volte ironico monologo tra la protagonista e sua madre, che ormai bisognosa di cure, di presenza, di compagnia, di accudimento fisico sembra aver dimenticato le durezze, la distrazione, la lontananza di cui la figlia aveva tanto sofferto in passato. Attraverso il racconto del rapporto a due, l’autrice ci trasporta in realtà in un pezzo d’Italia ancora primitiva, dove manca l’acqua, la luce elettrica, i mezzi di trasporto, dove l’analfabetismo è ancora prevalente, i rapporti familiari improntati ad una tradizione patriarcale incontaminata. Le bambine percorrono chilometri in campagna per raggiungere la scuola, i padri sono emigranti e solo attraverso le loro rimesse è possibile acquistare scarpe, libri e quaderni, abiti pesanti. La vita viene scandita dai ritmi della natura e della vita contadina: governare gli animali, uccidere il maiale, scegliere le uova appena fatte, seguire il pascolo delle pecore, subire le angherie del mezzadro, don Cesidio, che lavora per il padrone delle terre e ruba quanto può ai contadini che debbono tacere e subire. Un paesaggio da novella verghiana, pur svolgendosi negli anni ‘50 del secolo scorso; poi, l’avvento del boom economico, l’arrivo delle strade, delle automobili, dell’acqua corrente, del bagno, dei primi televisori, della possibilità di studiare prima al liceo e poi all’università. Ma anche se la modernità ha fatto decisamente irruzione nella regione descritta nel romanzo, i personaggi delineati conservano la loro identità ancestrale. Mia madre è un fiume, era un ruscello, mia madre era un albero, mia madre era strumento della musica... così la figlia racconta attraverso poetiche metafore la madre contadina, dura, severa, dai lunghi capelli neri che teneva sempre austeramente legati in una crocchia, che lavorava eternamente all’uncinetto una coperta, che la figlia non apprezza, che l’ha educata al sacrificio, sempre in piedi alle sette anche nei giorni di festa, per non abituarsi all’ozio, ma che ha permesso a sua figlia di studiare, pur tra molte difficoltà ed enormi sacrifici.
La scrittura del libro è come un fiume di parole che si susseguono impetuose, che si fermano talvolta a prendere respiro e poi riprendono con foga, tanta è l’urgenza della scrittrice di liberarsi dai sensi di colpa, forse, per non aver amato sua madre prima. Ora, dovendo fare i conti con la malattia e la vecchiaia di lei, i conti diventano ineludibili. Un romanzo che non si vorrebbe finisse, nel quale ci si ritrova e ci si identifica, che sembra toglierci le parole di bocca. Un inizio letterario molto promettente.
Mia madre è un fiume
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ho letto casualmente questo libro e ne sono rimasta affascinata!scorrevole e carico di emozioni.mi ha suscitato sentimenti forti,dal riso al pianto e questo è in grado di farlo solo un vero talento.complimenti all’autrice
claudia
un libro eccezionale dall’inizio alla fine,che rende giustizia alla nostra splendida terra.una nuova scrittrice abruzzese
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Un pomeriggio di questa estate sono entrato in libreria a Pescara per acquistare un libro alla mia bambina. Casualmente ho preso per me il romanzo di Donatella “mia madre è un fiume” (di cui ignoravo l’esistenza) perchè incuriosito dall’ambientazione nei luoghi in cui vivo. E’ stata la lettura più emozionante che abbia mai fatto. Ho sentito più mia la mia terra e vive le immagini e i sentimenti della mia gente che da piccolo passavano solo attraverso i racconti della nonna. Vorrei regalare questo romanzo a mia madre per invitarla “subito” a raccontarmi la sua storia prima che svanisca per sempre nell’archivio inaccessibile della sua memoria. Grazie Donatella per questo dono prezioso. Domenico da Montorio.
Una scrittura densa, sempre in bilico tra passato e presente e caratterizzata da un intreccio tra la narrazione di fondo – in cui prevale il tortuoso tempo della coscienza rispetto al classico tempo dell’ordine cronologico – e la riflessione interiore, la descrizione, la memoria e le confessioni di antichi rancori, di taciute frustrazioni, di emozioni inespresse all’interno di un contesto rurale fatto di tradizioni arcaiche ma, soprattutto, all’interno di un difficile rapporto madre-figlia. La voce narrante della donna matura che si prende cura della madre affetta da una malattia neurologica, si muove tra dolorose certezze ormai accettate - come la cosiddetta “distrazione affettiva” della madre Esperia (pg. 50) sofferta da bambina – e inquietudini non ancora sopite nella donna adulta – “soffro il contatto, avverto il disturbo” (pg. 118 ) - , quasi a dipingere, con la forza della parola, il drammatico quadro di un conflitto nato nel dolore e confluito nella pietà per quella anziana donna ridotta a “mangiucchiare degli avanzi per i cani” (pg. 119). L’immagine del fiume si rivela poi significativa – e non a caso dà il titolo al romanzo – in quanto metafora dell’intera esistenza di Esperia: “ mia madre è un fiume. Erano un fiume i suoi capelli scuri e sottili; […] era un ruscello, come quello che scorreva non lontano da casa; [..] è un fiume di vecchi ricordi salvati, [..] di parole, di frasi stereotipate; […] è un fiume in secca, fa odore di morte “ (pg. 133) ; allo stesso modo un albero, una farfalla (pg.148) e altri elementi della natura diventano il tramite attraverso cui avvicinarsi alla genitrice, immagine di un ciclo vitale perpetuo ed eterno, in cui potersi riconoscere, in cui potersi ritrovare, senza negare con ipocrisia il dolore passato e talvolta ancora presente. Un dolore atavico, parte della vita di Esperia, donna granitica appartenente ad un’epoca in cui gli slanci affettivi erano cosa rara, donna custode di una memoria che, perduta per l’inesorabile corso della malattia, le verrà restituita dalla figlia: “Tu sei Esperina Viola, mia madre. Come una viola sei nata il venticinque marzo millenovecentoquarantadue, [..] figlia di una licenza militare” (pg.176) ; il rapporto madre-figlia, per quanto tormentato e costellato di silenzi lunghi una vita, non si può cancellare e si ricompone in nome di madre – Natura e in nome del ricordo di una vita, unica ed irripetibile in ogni essere umano.
Ho letto questo libro in pochissimi giorni ma rimarrà sul mio comodino per molto tempo.E’ stato come ripercorrere tutti i momenti ,dolorosi e non, vissuti con mio padre,ritrovato proprio nella sua malattia.
Le parole dell’autrice sono le sensazioni che molti di noi hanno provato e che difficilmente saranno esternate,
perchè è difficile ammettere a noi stessi che eravamo
felici ....ma non lo sapevamo:"Mi penso tra vent’anni,
più o meno all’età di mia madre.Ho nostalgia di quello
che dimenticherò.Ho nostalgia di chi sarò stata".