Morte a credito
- Autore: Louis-Ferdinand Céline
- Genere: Storie vere
Mentre nel più famoso “Viaggio al termine della notte”, Céline inizia il suo racconto autobiografico partendo dalle trincee della prima guerra mondiale, in “Morte a credito” narra tutto ciò che è avvenuto prima, dalla nascita fino all’arruolamento.
Lo scrittore francese ricorda i primi anni di vita trascorsi nel Passage, un misero sobborgo di Parigi, dove, nonostante gli sforzi dei genitori, era impossibile avere una vita dignitosa. Ma soprattutto, il racconto autobiografico serve a Céline per fare un’impietosa analisi di sé: ribelle nato, insofferente a qualsiasi regola, vede succedersi un fallimento dopo l’altro (la scuola, la spasmodica ricerca di un posto di lavoro, i vagabondaggi). Si tratta di un climax vertiginoso di eventi che, inevitabilmente, si conclude nella catastrofe finale.
Tuttavia, io credo che, più che gli eventi, sono i personaggi che rimangono impressi nella mente del lettore: essi appaiono grotteschi, caricaturali, tutti preda di un’unica, universale preoccupazione: quella di sopravvivere. Essi costituiscono un misero campionario di varia umanità: si è allora portati a chiedersi se queste persone siano realmente esistite così come vengono descritte ovvero se sono state trasfigurate dalla mente allucinata dello scrittore. Emblematiche sono soprattutto le figure dei genitori, che Céline descrive in tutta la loro miseria morale ed intellettuale, senza pietà: la madre, zoppa e malferma commerciante di merletti in un’epoca in cui nessuno li comprava più, e il padre, impiegato in una compagnia di assicurazioni, bistrattato da tutti ed ossessionato dalla paura del licenziamento.
Su tutti, poi, emerge il fratello della madre, lo zio Edouard, l’unico personaggio positivo del romanzo. Inguaribile ottimista, fiducioso nel progresso, Edouard è l’unico a credere nel giovane Ferdinand: gli trova occasioni di lavoro e, alla fine, lo accoglie amorevolmente nella sua casa, dove Ferdinand trova un attimo di pace, lontano dalle inquietudini del mondo.
Nella sua crudezza (linguistica e di contenuto), l’opera appare come un concentrato delle paure dell’uomo moderno: la morte, il fallimento, la miseria, la guerra, la perdita di se stessi. L’autore fa una spietata radiografia di un’epoca, quella a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, che, ammaliata dal mito del progresso e dello sviluppo, sacrifica al dio denaro i valori più profondi. Tutti i personaggi sono assillati dall’ansia dell’arricchimento e dell’accumulo, pieni di speranza e carichi di miseria. E tutti, inevitabilmente, sono destinati a soccombere.
Dal libro emerge una morale pessimista, riassunta dallo stesso titolo: la morte è, secondo l’autore, il drammatico debito che si deve saldare per il fatto di aver vissuto. E, sebbene Celine ci ricordi con vibrante partecipazione che:
“anche noi ci perderemo un giorno, nello spietato tormento delle cose, delle persone, dei giorni”
è altresì vero che l’opera appare permeata di una straordinaria umanità, che cerca di emergere e di farsi valere, al di sopra e contro tutte le paure e le angosce dell’uomo moderno.
Morte a credito
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ottima recensione ...parlare dei libri di Cèline non è mai facile !