Muse nascoste. La rivolta poetica delle donne
- Autore: Nicola Vacca
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
È da apprezzare lo sforzo di Nicola Vacca di mettere insieme poetesse (in realtà, a molte il termine poetessa non piaceva proprio, perché la sentivano come una "deminutio"), italiane e straniere, dimenticate o famosissime come Emily Dickinson, seguendo un suo preciso gusto personale anche nel presentarle. Le pagine di Muse nascoste. La rivolta poetica delle donne (Galaad edizioni, 2021) vanno veloci perché lo scrittore non si attarda tra figure retoriche, metrica o enjambements, ma cerca di cogliere l’essenza poetica nella complessità esistenziale delle poetesse.
Molte delle poetesse trattate, umiliate e tradite nel proprio talento, avevano un tale disgusto della vita che cercarono la morte e la trovarono con il suicidio. Chi scrive, per la verità, di tre o quattro non si ricordava che vaghe ombre, ma in realtà è la scrittura di Vacca a riportarle di nuovo in vita, a dare l’impressione di nomi forse sentiti, perché molto spesso le autrici in questione hanno pubblicato molto poco e con editori minori.
L’autore inizia a scrivere di queste poetesse riportando piccole parti di poesie e, molto importante, ci dice dove poter trovare i loro volumi, quando disponibili, nel vasto e trascurato mondo della piccola editoria.
La prima, di cui pensiamo di sapere tutto perché sono usciti tre film sulla sua figura e una serie televisiva nel 2020, è Emily Dickinson. Dopo i tantissimi saggi italiani e stranieri che la riguardano, e il clamore mediatico della televisione, la cosa importante sul modo di poetare di Dickinson Vacca la fa dire a Isabella Bossi Fedrigotti: Dickinson scrive con parole semplici, ordinarie, sembra quasi che non abbia letto versi, ed è questo l’incanto.
Poi c’è Nina Cassian, romena, conosciuta da pochissimi ma pubblicata da Adelphi,
a Jolanda Insana, che l’autore definisce come "una voce deflagrante ed estrema".
E Ágota Kristóf, che conosciamo più come narratrice che come maestra di versi.
Scrive Nicola Vacca:
"Ágota Kristóf ha attraversato l’angoscia del mondo passando per il suo dolore personale. Dentro i suoi libri c’è la vita, con il suo pesante carico enigmatico di sofferenza e di dolore".
Poi c’è il carattere estremo e instabile di Amelia Rosselli, che si sentiva spiata, braccata, un talento innato dopo aver scelto di vivere a Roma, in un appartamento piccolissimo dove, alla fine, pose fine si suoi giorni. La sua poesia è impegnativa e al contempo semplice, per lei che era naturalmente portata per la musica, specie quella dodecafonica. E poi Margherita Guidacci, dimenticatissima, che invece l’autore sembra prediligere, e che fu tra le poche poetesse che trovarono nelle Sacre Scritture un appiglio che spesso diventava certezza. Dio è tra le nostre mani, ma non lo riconosciamo più. Come poteva trovare mercato una poesia simile, se un certo tipo di conformismo vuole le scrittrici in versi tutte un po’ matte, nevrotiche, che non reggono "l’attrito della vita", come scriveva Paola Masino su un uomo, sul matematico Caccioppoli.
La cifra stilistica di queste donne è la disperazione in versi, ma l’esempio di Guidacci è che si può fare vera poesia senza rinunciare al lato religioso, allo studio matto e disperatissimo della Bibbia e dei Vangeli, come fece anche Simone Weil, che scrisse anche poesie, oltre ai saggi e riflessioni filosofiche.
"O il terribile vuoto che non riesce a colmare" scrive l’autore di Antonia Pozzi (anche lei mise fine alla sua vita), mentre di Cristina Campo ricordiamo Gli imperdonabili, scegliere il silenzio anche poetico contro il rumore della massa.
Un’altra grandissima è Marina Cvetaeva, tra quelle che non reggono il peso del vivere, che sono sempre fuori e dentro a questo imbuto di desideri, di passioni forti e di dolori immedicabili come la morte di una figlia. Anche lei morì suicida — tanto che, leggendo questo volume, arriviamo a stupirci delle pochissime che morirono di malattia o per età anagrafica.
Poi ci sono le donne che scrivono versi che diventano leggenda come Sylvia Plath, che si definiva una che la morte aveva trovato il modo di guardarla in faccia, diventando un’esperta del morire con le proprie mani. Si fa fatica a credere che Nicola Vacca abbia attraversato tanto dolore e solitudine senza provare in senso d’impotenza di fronte a queste donne di grande talento, ma, dotato di una disciplina ferrea che gli viene da anni e anni di giornalismo culturale e da un amore straziante per l’oggetto libro, possa continuare a scrivere di molte altre.
Muse nascoste. La rivolta poetica delle donne
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