Portico d’Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del ’43
- Autore: Anna Foa
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Casa editrice: Laterza
- Anno di pubblicazione: 2013
Anna Foa è una storica nota e autrice di opere grandi. In occasione del settantesimo anniversario della deportazione degli ebrei romani dal ghetto, avvenuta il 16 ottobre 1943, ha voluto pubblicare un piccolo libro, dal titolo “Portico d’Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del ‘43” (Laterza, 2013).
Una microstoria, fatta di persone e di cose, di gesti quotidiani, di voci, di sentimenti, di angoscia, di speranze, di disperazione che caratterizzarono i mesi oscuri dell’occupazione tedesca della città, a partire dall’ottobre del ‘43 per giungere alla strage delle Fosse Ardeatine, del marzo 1944. Microstoria, dice Anna Foa, perché sceglie di raccontare la vicenda di una Casa, situata al numero 13 di via Portico d’Ottavia, e quella dei suoi abitanti, tutti ebrei, la maggior parte dei quali furono arrestati e quindi spediti ad Auschwitz, da dove non fecero ritorno, mentre pochi altri più fortunati riuscirono a fuggire a salvarsi. Nel libro vi è raccontata la storia di tutti, con nomi, cognomi, soprannomi, età, rapporti di parentela, cosicché i numeri che siamo abituati a conoscere e a ricordare, gli oltre mille deportati dell’alba del 16 ottobre, i 335 trucidati alle Ardeatine, gli arrestati nell’intervallo tra la razzia e l’eccidio, divengono persone in carne ed ossa, con le loro caratteristiche fisiche e le loro paure, la convinzione che donne e bambini non sarebbero stati arrestati, l’incoscienza di andare a trovare gli arrestati nelle prigioni di via Tasso e di Regina Coeli per averne notizie e portare generi di conforto.
Nella Casa presa a metafora dell’enorme tragedia della deportazione ci sono quelli che incontreranno:
- i soldati “buoni”,
- quelli traditi dalla correligionaria Celeste Di Porto, la celebre “Stella” che vendeva su capriccio gli ebrei per compiacere un amante e depredare gli arrestati di vestiti e gioielli,
- quelli che, aiutati da amici ariani, riusciranno a rifugiarsi in conventi e parrocchie,
- altri che fuggiranno da Roma, per poi tornarvi, incapaci di rimanere lontani dal quartiere, dalla “Piazza”, dai loro affetti e saranno condannati: è il caso della donna che viene a Roma per partorire in casa, aiutata dalla sorella, e questo gesto sarà fatale ad entrambe.
Il saggio della Foa è breve e intensissimo: apprendiamo molto dal suo studio puntuale, pieno di nomi e di volti, che lei stessa dice di aver seguito “con un rigore filologico forse eccessivo e in qualche momento ossessivo”, ma che permette, dopo settanta anni da quei fatti atroci, di restituire dignità e anima a tutti quelli a cui la vita fu strappata brutalmente al centro di Roma, nell’indifferenza di molti, l’inconsapevolezza delle stesse vittime, la complicità disinteressata di pochi.
La deportazione, ci spiega la storica, fu per certi versi casuale: mentre i tedeschi agivano in modo scientifico, con fogli e liste e ubbidendo ad ordini indiscussi anche se feroci, i fascisti italiani collaborarono molto attivamente, alcuni per soldi, come si sa, altri perché antisemiti, in seguito alla propaganda che dal 1938, anno di promulgazione delle leggi razziali, aveva permeato la “pancia” di buon parte della società italiana; ci si salvò per caso, perché gli aguzzini volevano esercitare il potere di condannare o di salvare, secondo un arbitrio soggettivo e irrazionale.
La pagine finali del libro sono dedicate ai processi che nel dopoguerra si fecero contro delatori, spie e bande di assassini. Le condanne furono per lo più lievi: si fece ricorso all’infermità mentale degli assassini e comunque molti reati vennero sottoposti ad amnistia, nell’ansia di ricostruire il futuro e non soggiacere alla vendetta: la riconciliazione, afferma però Anna Foa, non fu ristabilimento della giustizia e forse quell’atteggiamento che non riconosceva il reato di antisemitismo è la causa, non troppo remota, del sentimento che ancora troviamo così tanto diffuso nei ragazzi di oggi, non solo italiani.
Altro merito del libro è quello di ricordare quanti ebrei furono arrestati per strada, in via Arenula, o nelle loro case, fra il 23 e il 24 marzo, subito dopo l’attentato di via Rasella, per rimpinguare il numero di quanti dovevano essere messi a morte per la rappresaglia ordinata da Hitler: questa non fu infatti preceduta da alcun avviso, anzi, la notizia dell’attentato fu tenuta il più possibile segreta per procedere indisturbati all’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Un libro che sarà molto utile agli insegnanti che doverosamente contribuiscono alla conoscenza e al ricordo di quanto è avvenuto nella nostra città, con il rigore scientifico della storia ma anche con la passione e il ricordo di chi parla di persone care, incontrate ed intervistate, e di un luogo familiare, la casa dove la stessa Anna, molti anni dopo, ha abitato.
Portico d'Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del '43
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