Privo di titolo
- Autore: Andrea Camilleri
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Sellerio
- Anno di pubblicazione: 2005
Nel 1941 a Caltanissetta viene celebrato un ventennale. Si riferisce alla morte del giovane eroe “fascista”, Lillino Gattuso (nello scritto Gigino Grattuso), ucciso, il 24 aprile del 1921, da un colpo di pistola nella via Arco Arena di una città siciliana non precisata, nel momento in cui assieme ad altri due fascisti aggrediva il comunista Michele Ferrara (nello scritto Michele Lopardo). Appena sedicenne, assiste alla cerimonia lo stesso Camilleri. Ad un certo momento si accorge di un uomo che sta piangendo e suo padre gli dice che quello è l’“assassino”. Dio solo, poi aggiunge, sa come sono andate effettivamente le cose.
Prende il via da questo episodio il romanzo "Privo di titolo" (Palermo, Sellerio 2005), un’opera ideologica che racconta “grandi falsificazioni” e mette a fuoco, nel contesto di un patriottismo retorico, almeno tre aspetti: l’invenzione di un “martire”, la cultura del sospetto tradotta nel linciaggio e l’inesistenza di una città. Compositi anche i registri linguistici e stilistici, già collaudati in altri scritti (La concessione del telefono, La mossa del cavallo, La scomparsa di Patò) e non comune la padronanza nel variare i mezzi espressivi (dal burocratico al comico, dal realistico al retorico), alternando a documenti di vario tipo (articoli, lettere, manifesti, note e verbali) piacevolissime ed effervescenti micro-narrazioni.
Sull’anzidetto fatto di sangue le divergenze degli inquirenti non mancano. Tinebra, maresciallo dei carabinieri che, con scrupolo cerca la verità e aiuta il Tenente Pellegrini, ritiene improbabile la colpevolezza di Lopardo, anche se un insieme di circostanze (ad esempio, il susseguirsi di false testimonianze e il trasferimento a Cuneo del tenente) rende difficoltosa l’inchiesta. Le manovre, infatti, riescono a far dichiarare il comunista colpevole. Siamo ora nel maggio del 1924, data coincidente con il terzo anniversario della morte di Gattuso, quando Mussolini si reca in Sicilia. A Caltagirone, egli interviene per la posa della prima pietra di Mussolinia, città-fantasma mai edificata, di cui Sciascia aveva parlato ne "La corda pazza", e che si sarebbe dovuta costruire nella zona del bosco di Santo Pietro (da Camilleri la documentazione è riportata nella “Nota” in margine al romanzo). L’accostamento delle due vicende non può assolutamente dirsi casuale, perché unitario è l’obiettivo della demistificazione condotta spesso con toni satirici come nel caso della descrizione di incidenti durante la visita di Mussolini. In tale circostanza il noto avvocato comunista Mario Pigna riesce in sede giudiziaria a dimostrare l’innocenza dell’imputato. Interessanti le prove di cui egli si avvale, anche se l’assoluzione per non aver commesso il fatto non consente a Lopardo di fare una vita tranquilla, ma soggetta a continue vessazioni. E’ chiaro! L’intento di fargli violenza ha una sua logica propagandistica funzionale al regime, mentre all’ucciso viene addirittura intitolata una strada, perché considerato “Martire fascista”. Dopo il 1943 l’apposizione “fascista” viene cancellata: martire dunque senza aggettivo, cioè privo di titolo. Oggi senza la dicitura “Martire”.
Così il filo conduttore è la costruzione di una realtà fittizia spacciata per reale: non c’era mai stato un martire fascista e nemmeno Mussolinia era stata fondata. Non solo! Grande rimane la descrizione psicologica e ambientale che, nell’ultima parte del romanzo, raggiunge le sue pagine più intense.
Privo di titolo
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