Racconti di una vita
- Autore: Nadine Gordimer
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Feltrinelli
- Anno di pubblicazione: 2014
“Racconti di una vita” (Feltrinelli 2014), ultima pubblicazione di Nadine Gordimer, grande scrittrice sudafricana scomparsa il 13 luglio 2014 e insignita, nella sua carriera, di importanti premi letterari tra cui anche il più prestigioso, il Nobel nel 1991, è l’opera mai tradotta prima che raccoglie una serie di racconti. Sono diciassette per la precisione, scritti tra il 1952 e il 2007, immagini del mondo in cui lei ha vissuto e ha raccontato attraverso i propri occhi e i propri sentimenti.
Il tema principale del libro è sicuramente la situazione politica e culturale del suo Paese, il Sudafrica, con le disparità fra bianchi e neri, l’apartheid contro il quale avevano già lottato altri eminenti personaggi tra cui Nelson Mandela; le altre narrazioni sono, invece, ritratti, quadri di un determinato luogo e periodo che l’autrice guarda con un po’ di distacco e così li narra come se fossero schermati da un vetro.
Ottimi, quindi, la descrizione e il lessico ma in alcuni racconti, rispetto ad altri, il coinvolgimento emotivo non è così forte. Il linguaggio, però, è intriso di parole che fanno parte della vita del suo Paese: il “veld”, termine derivante dall’olandese “prato” che indica le grandi distese erbose del Sudafrica e il “bush”, la boscaglia tipica di quelle zone, appaiono in ogni narrazione come se l’autrice fosse sempre lì a respirarne l’aria odorosa, ad ammirare un paesaggio cui è molto legata.
La prima narrazione “La voce del serpente” differisce molto dagli altri racconti e ha carattere più intimo: ci parla di un uomo di soli ventisei anni, all’apparenza sano, costretto da tristi episodi della vita all’amputazione di una gamba. Ora, in convalescenza, trascorre le sue giornate in giardino in compagnia della moglie, un po’ rimirando il paesaggio, un po’ ripensando all’arto perduto che per lui, come per tanti altri che hanno subito la stessa sorte, c’è ancora perché lo sente formicolare con una sensazione che sarebbe diventata la più rassicurante delle abitudini e delle illusioni. Un giorno, una grossa cavalletta cade vicino al giovane che, incuriosito, si mette ad osservarla.
“Lì, perfettamente immobile di paura, sotto i suoi occhi era posata una grossissima cavalletta. Che faccia buffa aveva ... Si mosse leggermente. Uno strano corpo racchiuso da un’armatura cigolante. Non c’era dubbio che fosse una faccia curiosamente umana e persino espressiva ma, guardando il corpo, decise che, in realtà, non lo si poteva chiamare corpo. Il corpo era una carta leggera stesa su una struttura di fiammiferi... Cominciò a provare un enorme interesse... la creatura cadde sul fianco, annaspò, si raddrizzò e mostrò qual era il problema. Era lo stesso problema. La creatura aveva una sola gamba”.
Strano racconto che va a toccare nel profondo sia il protagonista che il lettore e che termina in questo modo “le cavallette sanno volare”. L’autrice lascia ad ognuno l’interpretazione più consona ai propri sentimenti e ai propri stati d’animo che possono variare dal pessimismo per il danno subito, alla speranza per le infinite capacità che ha ogni essere umano, seppur mutilato di una parte del proprio corpo.
Le altre storie hanno maggior delineazioni temporali e culturali. Spesso sono ambientate nelle fattorie in cui le persone di colore occupano solo la “location”, insieme di povere abitazioni non a contatto dei bianchi. Tutto questo è narrato da una scrittrice non di colore ma di estrema sensibilità cui va il merito di aver cooperato per un popolo del quale lei si sentiva parte pur non condividendo il colore della pelle.
Tenera nei confronti dei più deboli è “Da non pubblicare”, storia di un bambino che pare abbia avuto un futuro importante anche se non se ne parla esattamente nello specifico. Il ragazzino trascorre i suoi primi undici anni di vita accompagnando lo zio per le strade a chiedere l’elemosina. Un giorno, una donna più che benestante si prende cura di lui e lo apprezza quasi da subito: quel bambino ha potenzialità enormi, sa già leggere perchè aveva imparato dai giornali appesi a un’edicola e dai manifesti. Il protagonista, allontanato dalla strada, fa enormi progressi e, ad un certo punto, si rivela utile affidarlo a Padre Aubry, un missionario che ha cura della sua educazione.
Gli anni passano, il ragazzo impara tante cose e a sedici anni è ad un passo per entrare all’Università. L’unico aspetto insoddisfacente è che il ragazzo non si sia irrobustito, che mostri ancora quella curvatura alla spalla dovuta all’appoggiarsi dello zio mendicante. Ma, in fondo, non si può nutrirlo per tutti gli anni di denutrizione e poi un futuro di successo lo attende dopo gli studi. Proprio ad un passo dagli ultimi esami, però, il ragazzo fugge via, portando con sé solo pochi ricordi. Forse troppa pressione per lo studio, il timore di non farcela, supportato da un’infanzia infelice che non aveva posto fondamenta salde nel suo intimo.
Un racconto melanconico, che fa tanto pensare alle necessità d’ogni bambino bianco o nero che sia.
Le ultime narrazioni giungono fino al 2007 e sono lo specchio delle multiformi capacità linguistiche di Nadine Gordimer. Si possono leggere con intervalli di tempo poiché i racconti non sono legati l’uno all’altro, ma sono il mezzo attraverso cui conoscere meglio una donna che, nonostante la sua scomparsa, resta con i suoi scritti presente e viva.
Racconti di una vita
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