Resto qui
- Autore: Marco Balzano
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2018
Una copertina capace di raccontare con efficacia e commozione l’intero romanzo, “Resto qui”, che Marco Balzano dedica ad una comunità altoatesina, molto vicina al confine con la Svizzera, che si è vista dopo difficilissime vicende espropriare il proprio paese, Curon, sommerso da una diga, inutile e dannosa. È la foto di un campanile, che emerge in parte dall’acqua stagnante che lo circonda, una metafora comunicativa di rara efficacia.
In Sudtirolo, nel 1923, la protagonista ed io narrante di questa storia ricca di grande umanità, Trina, sta preparando l’esame di maturità. Malgrado la comunità parli la propria lingua materna, il tedesco, Trina studia in italiano: vuole divenire maestra, insegnare quella lingua musicale ai bambini, data la fascistizzazione che il regime mussoliniano stava operando con violenza in quelle terre; prima,
“In quelle valli di confine, la vita era scandita dai ritmi delle stagioni. Sembrava che quassù la storia non arrivasse. Era un’eco che si perdeva. La lingua era il tedesco, la religione quella cristiana, il lavoro quello nei campi e nelle stalle”.
Ora Mussolini ha cambiato tutto (nomi alle strade, lingua) e se si spera di lavorare come maestre bisogna conoscere bene l’italiano. La storia che Marco Balzano ha costruito con documenti, testimonianze, esperti di storia locale, ricerche d’archivio è ricca di documentazione ma soprattutto molto coinvolgente. Trina conosce un uomo, Erich Hauser, lo sposa, hanno due figli, Michael e Marica. La bambina, quando ha poco più di dieci anni, scompare dalla loro vita, portata via, forse in Germania, dalla sorella di Erich. Lascia una sola lettera, con cui spiega di essere fuggita di propria volontà, pur di non restare in quel buco sulla montagna. Il resto dell’esistenza di Trina ed Erich sarà dedicato a sopravvivere all’ascesa del nazismo, così vicino e così sopravvalutato dagli abitanti del paese, alla guerra, dalla quale Erich torna ferito nel corpo ma soprattutto nello spirito: non tornerà a combattere, diventa disertore, fugge in montagna con Trina, si riparano a stento dalla fame e dal gelo con altri fuggiaschi per lunghi mesi, fino alla fine della guerra. Quando credono di aver trovato pace, ecco la Montecatini riprendere il vecchio progetto di costruire una enorme diga che non potrà che sommergere l’intero paese. Erich e Trina combattono in prima persona una battaglia impari: cercheranno addirittura l’aiuto di Alcide De Gasperi e di Pio XII, faranno manifestazioni dimostrative, pur di salvare la loro comunità, le case, i terreni, la chiesa, le tradizioni, i morti. Tutto sarà inutile, tutto verrà cancellato da un potere cieco, irrazionale, violento, incapace di valutare i pro e i contro di un’operazione malvagia da ogni punto di vista. La voglia di restare, di non soccombere, di non dimenticare, di rimanere legati ad un pezzo di vita si infrange contro le ragioni della logica economica, anche se, come in molti casi, del tutto miope e in questo caso devastante.
“La vicenda della distruzione del paese è riassunta sotto una pensilina di legno, nel parcheggio degli autobus delle agenzie di viaggio. Ci sono le fotografie della vecchia Curon, dei masi, dei contadini con le bestie, di padre Alfred che guida l’ultima processione… C’è anche un piccolo museo che apre di tanto in tanto per i pochi turisti curiosi. Di quello che eravamo non rimane altro”.
Colpisce in questo bel romanzo che Marco Balzano affidi alla voce di una donna la capacità delle parole di farsi materia di dolore e di rimpianto, di perdita e di speranza, di abbandono e di morte. La lingua italiana, il dialetto tedesco, l’incapacità di comprendersi, le parole scritte su lettere che pesano come pietre, lettere dal fronte, lettere censurate ed edulcorate da Trina che le legge alle donne analfabete, le lapidi scolpite con i nomi dei morti sono la trama che attraversa tutta la narrazione.
La vocazione all’insegnamento, che Trina malgrado tutto continua a perseguire e a praticare come unica professione capace di dare un senso alla sua esistenza, è la voce di speranza che lo scrittore sembra suggerire in tempi di rinnovate istanze nazionaliste e di ricerca di antiche identità tradite. Storie dolorose che si sono svolte sul nostro confine orientale, mai del tutto raccontate, spesso controverse nell’interpretazione, in “Resto qui” di Marco Balzano aprono uno scorcio originale, interessante, ricco di implicazioni politiche ed economiche, storiche e sociologiche, ma nutrite di carne e sangue, di rapporti familiari dolorosi, di distacchi e di riconciliazioni, della vita nella sua complessità. La letteratura può essere l’unico strumento di vera e profonda comunicazione e di comprensione della diversità.
Resto qui
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Storia bellissima, scritta bene e che coinvolge moltissimo
Oggi è una suggestiva cartolina per turisti distratti, l’antico campanile di Curon Venosta, che svetta, orgoglioso, ostinato sia in estate che in inverno, dal lago di Resia. La nuova Curon lo guarda dall’alto, mentre i visitatori fanno la fila al pontile, il posto migliore per farsi un selfie con la sua snella punta sullo sfondo. Un’immagine idilliaca, che al villeggiante superficiale racconta poco o niente di tutto il dolore e la distruzione che l’hanno tramutata in quello che è adesso. Eppure, la sua è la storia triste e amara di un paese di frontiera, mal integrato nella realtà italiana, bistrattato da due dittature apparentemente lontane, in realtà molto più presenti di quanto non si credesse, annientato da interessi economici mascherati da “imprescindibile progresso”. La storia del passato dei suoi abitanti cancellato dalla prepotenza del potere, allagato dalla presunzione di chi ha creduto, purtroppo a ragione, di poterne fare quello che ha voluto. La storia di Curon Venosta, il paese sommerso, il paese sacrificato alla logica del profitto e all’avidità degli affaristi, avallati dallo Stato.
Non è certo, Curon Venosta, l’unico paese al mondo al quale sia stata riservata una sorte tanto tragica: del resto, non è neppure l’unico in Italia: si veda Fabbriche di Careggine, non lontano da Vagli, in Toscana. Questo, però, non fa di un mal comune un mezzo gaudio, e non giustifica assolutamente il vero e proprio crimine che è stato perpetrato ai danni della popolazione. Di questa vergognosa pagina di storia italiana ha deciso di parlare Marco Balzano in questo suo “Resto qui” che gli è valso, meritatamente, il secondo posto nel Premio Strega 2018. Non si tratta di un saggio, ma di un romanzo, sebbene i fatti raccontati siano quanto più possibile fedeli a quelli realmente accaduti, e anche i personaggi risultino estremamente verosimili. Curiosamente, l’autore sceglie di parlare per bocca di una donna, la cui vita è distrutta da una tragedia familiare prima ancora che da quella che coinvolge tutto il paese. Il suo nome è Trina, è un’insegnante che ama il suo lavoro e che, cosa rara a Curon Venosta, non parla solo tedesco ma anche italiano, particolare importante non solo dal punto di vista culturale, ma anche pratico, quando si tratta di farsi capire dalle autorità.
Trina è una ragazza coraggiosa in un’epoca in bilico tra fascismo e nazismo, in un popolo che combatte per la propria identità culturale ma non tarda a capire che chi dovrebbe “liberarlo” lo porterà alla rovina. Sfida il regime insegnando tedesco di nascosto, e oscilla fra l’amore, non si sa quanto appassionato, per il futuro marito Erich e il particolare affetto per l’amica Barbara. Una volta sposata, perde dapprima la figlia, che scappa, non si sa quanto per scelta, in Germania con gli zii, poi rischia di perdere anche il figlio, che si arruola sotto Hitler. Mentre Erich si chiude sempre di più nel mutismo, Trina va avanti con i suoi fantasmi, finendo anche per disertare insieme al marito, nascondendosi nei monti, per non farlo tornare al fronte. A guerra finita, però, non li aspetta la pace: i lavori sulla diga, che tutti credevano accantonati per sempre, riprendono. Trina ed Erich lottano con tutte le loro forze, ma il loro peggiore nemico è il fatalismo dei loro compaesani…
Non è un proclama, ne’ un libro storico: è un racconto col cuore, delicato, narrato in modo intimo, che parte dai sentimenti del singolo per arrivare a esprimere il dolore e lo strazio di un popolo.
Ho avuto occasioni pe conoscere Curon e la Val Venosta che ho ammirato ed apprezzato per la profondità e l’importanza della storia e delle risorse ambientali. Presto acquisterò il libro il cui contenuto è di grande interesse. Grazie.Saluti
Non solo una storia, ma la “Storia”. Il romanzo dello scrittore Marco Balzano non è una semplice storia, ma rappresenta la Storia di quel campanile che sorge dal lago, attrazione turistica d’ignari visitatori che non sanno che quella suggestiva costruzione rappresenta il simbolo della prematura scomparsa dell’ identità di un paese. Curon, borgo montano del Sudtirolo, un tempio fiorente comunità di allevatori, è stato sommerso, nel secondo dopoguerra, dalle acque di una diga che, non solo cancellerà masi e stravolgerà campi, ma porterà via con le sue acque la storia e le tradizioni delle famiglie che abitavano lì da generazioni. Vincitore del prestigioso Premio Campiello 2015, l’ autore non si risparmia nella sua narrazione. Gioie e idee semplici si fondono abilmente con animi illusi e ribelli che, fino alla fine, credono che l’avidità degli uomini non possa mai arrivare a privarli delle loro radici. Molti degli abitanti di Curon, tra cui i protagonisti, Trina e suo marito, sono già scappati dalle miserie dei regimi dittatoriali (fascismo e nazismo) e, una volta ritornati, credono che nulla potrà mai turbare la loro semplice vita contadina. Ma si sbagliano. In un crescendo di emozioni, Balzano conduce lo scrittore per mano, fino a quel campanile, che, inconsapevolmente, attira ignari visitatori da tutto il mondo. Erich, marito di Trina, alter ego dell’autore, crede che ingenuamente, attraverso picchetti e disordini, la società Montecatini possa desistere dal suo proposito. Invece, contrariamente a quanto detto volta per volta alla popolazione locale, il livello delle acque della costruzione viene innalzato giorno dopo giorno. Nulla potrà l’allevatore, unitamente ad alcuni svogliati interventi del Papa e dei Ministeri. Del borgo di masi rimarrà per sempre quel campanile a simboleggiare una Storia di rabbia e di resistenza
Un libro ricco di notizie, un romanzo toccante, un intreccio di storie e sentimenti. La cornice è quella del vecchio paese-fantasma di Curon in Val Venosta, Alto Adige, che la costruzione di una diga ha fatto inondare, lasciando superstite il solo campanile della Chiesa, oggi meta di tanti turisti, trovandosi immerso nel lago di Resia per metà.
La voce narrante è quella di Trina, una giovane madre di due figli, Marica e Michael. Racconta, come fosse un diario o una lunga lettera, la sua storia, da quando era ragazza e aveva due amiche Maja e Barbara, con cui passava le giornate; i suoi studi come maestra e il matrimonio con Erich. Si rivolge alla figlia perché un grande dolore la accompagna per tutta la vita: la scomparsa di Marica.
Arriva la guerra, con i fascisti, i nazisti e i partigiani. La fuga tra le montagne, il rischio di essere uccisi e di…uccidere, gli stenti, il freddo, la neve che copre tutto, il silenzio, il sangue, gli spari. La scelta politica non condivisa del figlio Michael. Tutto questo vissuto con grande dignità. E poi il ritorno a casa dei due coniugi scampati alla morte, a differenza di altri compagni di latitanza.
La vita riprende lentamente, ma riprendono anche i lavori interrotti della costruzione della diga. Erich con il parroco, padre Alfred e altri organizzano manifestazioni e proteste. Anche il papa Pio XII viene coinvolto e si interessa del destino di Curon, ma tutto è già deciso e alla fine ben 100 famiglie vengono evacuate e spodestate delle loro case. Molti decidono di andarsene in altri paesi, altri decidono di restare, così come Trina e Erich, che vanno ad abitare in una baracca, sopra il paese .
Nessuno può capire cosa c’è sotto le cose. Non c’è tempo per fermarsi e dolersi di quello che è stato quando non c’eravamo. Andare avanti, come diceva Mà, è l’unica direzione concessa. Altrimenti Dio ci avrebbe messo gli occhi di lato. Come i pesci.
Ora rimane ben poco del vecchio paese, che comunque attira tanti turisti che scattano selfie dal pontile, con il campanile sommerso come sfondo.
“L’acqua ci ha messo quasi un anno a ricoprire tutto. E’ salita lentamente, incessantemente, fino a metà della torre, che da allora svetta come il busto di un naufrago sull’ acqua increspata”.