Sangue rubato
- Autore: Antonio Muñoz Molina
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Edizioni Lindau
- Anno di pubblicazione: 2021
C’è un’età in cui la linea di confine tra la realtà e l’immaginazione è così sottile da risultare a tratti invisibile: la si scavalca senza quasi accorgersene, ci si sposta saltellando di qua e di là con pacata inquietudine, e i contorni del mondo si adeguano di conseguenza, ancora troppo morbidi per assumere la forma di una demarcazione ben precisa.
È un’età di sogni e di suggestioni, di discorsi sulla vita degli adulti che quasi sembrano incompatibili con il modo in cui si gioca ogni giorno – la stessa età in cui è facile arrivare a conclusioni bizzarre, a paure disumane, a ipotesi dalle quali nemmeno il ragionamento più paziente potrebbe far desistere. L’età in questione, quella in cui l’esplorazione della vita si accompagna a una tensione crescente e pulsante, è la stessa di Esteban e Bernardo, cugini e amici per la pelle che vivono nel sud della Spagna.
A dare loro voce, e a costruire lo scenario surreale e tremendo nel quale crescono, è lo scrittore contemporaneo Antonio Muñoz Molina, marito dell’autrice Elvira Lindo e tornato da poco in libreria con Sangue rubato, il romanzo breve (o racconto lungo) edito da Lindau nella traduzione italiana di Monica Rita Bedana.
La vicenda in cui si trovano coinvolti, quasi loro malgrado, si svolge lontana dalla tecnologia ma non è immune alle fake news, si basa sulla consapevolezza del fatto che i grandi non rivelino proprio tutto di ciò che accade intorno a loro, e che tuttavia ai bambini servano perennemente delle prove per dimostrare che il loro punto di vista corrisponde con la realtà, e soprattutto ha al centro il desiderio di capire ostacolato dalla mentalità di chi invece ne teme gli effetti, e preferisce lasciare la verità nell’ombra quanto più a lungo possibile.
Di conseguenza, e se vogliamo con una certa sfumatura di inevitabilità che aleggia nell’aria fin dalle prime pagine, le domande dei due sui "tisici" diventano enigmi indecifrabili, miti moderni che non si possono tramandare di bocca in bocca senza tremare: le figure sempre più presenti, eppure sempre meno palpabili, che i bambini del paesino chiamano così diventano ben presto, infatti, gli involontari capri espiatori di un terrore collettivo.
A loro si attribuisce la necessità di trovare del sangue "fresco", ovvero giovane, per migliorare la condizione in cui versano, e le successive e poco chiare sparizioni di bambini si trasformano nell’opportunità (macabra e stimolante allo stesso tempo) di collegare la leggenda alla realtà, l’incertezza ai dati evidenti, la dimensione fantastica a quella tangibile del quotidiano.
Il punto è, ammonisce al riguardo l’autore, che determinati tendoni non andrebbero scostati, perché alle loro spalle non nascondono nessun palcoscenico davanti a cui proiettare uno spettacolo affascinante:
"C’era una paura a cui prendevi gusto, e poi c’era una paura vera. Alla paura di un racconto o di un film all’inizio ci prendevi gusto, ma a un certo punto qualcosa di freddo e di nero e di sconosciuto si insinuava, e allora quella paura diventava panico e anormalità e la gola chiusa quasi fino a soffocare, come negli incubi. Come quando un adulto per gioco metteva paura a un bambino e non si rendeva conto che per il bambino lo scherzo non era più uno scherzo e che l’espressione della sua faccia non era di divertimento ma di puro terrore".
Per capirlo fino in fondo, quando ormai sembra che i binari della fantasia abbiano incrociato con ineluttabile violenza quanto accade per davvero, bisogna avere la pazienza di aspettare. Di continuare a vivere nonostante l’assenza, di ricostruire un habitat pure se sembra monco di elementi e di persone dapprima indispensabili. Si percorrono gli anni a venire come un calvario di dubbia pericolosità, come un percorso a ostacoli per cui non esistono mappe, e un giorno magari si ha l’occasione di scoprire che i rompicapo risolti inizialmente con l’estro dell’infanzia hanno un volto ancora più oscuro, più disturbante, però stavolta quantomeno sincero.
Un volto che, nella sua bruttura, è capace di restituire dignità all’infanzia e alla malattia, libertà a chi resta imprigionato fra i ricordi, e luce – perfino luce, benché solo per pochi attimi – a un posto che non esiste più, a "uno di quei luoghi a cui si può fare ritorno solo nei racconti oppure in sogno", come annota Muňoz Molina, anche nel caso in cui il sogno abbia più i contorni di un incubo.
In Sangue rubato l’esperimento funziona, il meccanismo di angoscia e di sottile nostalgia tiene fino all’ultimissima pagina, e con uno stile denso e plumbeo trasporta da un capo all’altro del tempo, da una tappa all’altra della vita, mantenendo come denominatore comune la meraviglia e lo strazio per tutto quello che non si riesce a capire (o ad amare) nel momento in cui sembra essere alla nostra portata.
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