Se il diavolo
- Autore: Gianluca Barbera
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2023
Gianluca Barbera ha preso il vizio di entrare in una persona realmente esistita, per porre l’accento sulla sua parte oscura, sui rovelli della mente, in perenne bilico tra bene e male. Questa volta, con Se il diavolo (Polidoro, 2023), entra nella vita di Georges Simenon, lo scrittore più prolifico del secolo scorso, e ne delinea il carattere, le passioni, la sua esistenza così avventurosa, avvelenata dalla malattia più brutta che possa capitare ad un essere umano: la noia.
Forse Simenon iniziò a scrivere per dare un dispiacere a sua madre che era dispotica e taccagna e non cambiò mai idea, nemmeno quando il figlio divenne lo scrittore più pagato non solo in Europa, ma anche negli Stati Uniti.
La madre lo ritenne sempre un “buono a nulla” con una moralità distorta, poiché scriveva sempre di assassini e di persone morte per la ferocia dell’umanità.
La parabola di Simenon, nel libro, inizia dopo un sogno premonitore dove qualcuno gli rivelava che avrebbe avuto successo, fama e soldi, ma le persone che avvicinava sarebbero morte, sempre a causa di motivi futili. Simenon allora era già catturato dall’ossessione della scrittura.
Aveva scritto romanzetti sentimentali, avventurosi, dalla trama bislacca, perché lo scrittore si annoiava a rileggersi, perché trovava in continuazione frasi non collegate tra loro, anacoluti, ma ci pensavano gli editori a metterci una "pezza".
Coi soldi guadagnati andava al centro di Parigi a spenderli in bivacchi e prostitute. A quanto pare per saziarsi aveva bisogno di tre donne al giorno, a cui non chiedeva né il nome, né il perché fossero finite a fare quel mestiere.
Voleva dimostrare che uno scrittore non è delicatezza e sensibilità: lui era un ragazzone pieno di muscoli, con la faccia un po’ ottusa, che leggeva poco, per la noia, aveva trovato nella moglie Tigy un’amica che sapeva delle infedeltà, della sua propensione a ubriacarsi e a mangiare in modo scorretto, ma Simenon era così.
La scrittura di Barbera si asciuga quando cerca di spiegare il motivo di tanta frenesia, perché il belga (era nato a Liegi, nel 1903) era un uomo abitudinario.
Dopo la colazione Georges si chiudeva nel suo studio, ponendo sulla porta la scritta “non disturbare” e un teschio disegnato. Per anni visse in un cabinato dotate di stanze, con il rollio dell’imbarcazione da diporto come musica, ma aveva anche preso una scelta, navigando: voleva pubblicare col suo nome vero dei romanzi polizieschi, che avevano come perno centrale il commissario Maigret, un uomo corpulento e molto ordinario che trovava gli assassini solo con l’intuito o per caso e fortuna.
Il suo editore si chiedeva come avrebbe fatto a costruire dei polizieschi.
Non sapeva nulla Simenon di come si costruisce un giallo, che ha regole precise, ferree. Ma lo scrittore rassicurò l’editore che sarebbe stato in grado di finire un libro in undici giorni. La risposta fu notevole. Maigret piaceva all’operaio, alle donne, a scrittori blasé come Jean Cocteau o André Gide.
La noia però non andava mai via, unita a un senso di morte e di disperazione. Era divenuto un uomo ricco che girava il mondo, ma si attardava con gli amici rivangando ricordi insulsi. Un esempio: di tutta l’Africa maghrebina si ricordava quanto era facile andare in bagno. Gli astanti chiedevano allo scrittore di Francia particolari succosi e lui si limitava a dire che non c’era stato bisogno di lassativi.
Simenon era una bestia, aveva quell’ottusità tipica di certi scrittori che una volta finito un libro, facevano altro. Disprezzava o tipi alla Flaubert che decidevano in una giornata piena se spostare una virgola o toglierla e niente altro. E nel frattempo costruiva in paesini francesi atmosfere malinconiche dove sotto la cenere regnava il male, la cupidigia, l’avarizia. Gli sembrava che scrivesse per dare fastidio a sua madre, per niente interessata all’attività del figlio, un ragazzo che non sapeva fare soldi onestamente e scriveva sconcezze per un pubblico "malato".
Ebbe un figlio da Tigy, anche se il loro matrimonio era finito. Andarono a New York, ma sia lui che la moglie non capivamo l’inglese americano, e quindi andarono nel Canada francese. Nonostante il bambino in fasce, Simenon fece almeno due volte il giro del mondo, ma la sua noia non cessò mai ed era diventato un uomo ricchissimo, ma per finire un libro non bastavano più due bottiglie di vino bianco. Ormai gli servivano il brandy e il rum.
Da qualche parte scrisse:
Forse esiste qualche altro modo di scrivere, ma io conosco soltanto questo: di notte, quando la paura non mi lascia dormire. Un libro deve essere una ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi.
Barbera poi si inoltra nella piena maturità di Simenon e nella vecchiaia. Ma chi scrive si ritrae perché le dinamiche e le azioni compiute dall’unica figlia femmina dello scrittore, Marie-Jo Simenon, che era folle di amore verso il padre e ugualmente il padre coccolava come l’unico amore puro della sua vita. Ma di "puro" evidentemente, il belga francese, non poteva avere niente, tanto che poi una volta cresciuta, Marie-Jo andò a vivere per conto suo, in un appartamento di Parigi, mentre il padre aveva divorziato anche da sua madre Denyse e stava già con un’altra donna, Hélène.
Le lettere che riceveva dalla figlia erano un balsamo, ma anche un veleno. La ragazza aveva relazioni intime con uomini dell’età del padre e anche più grandi.
Viveva all’inferno e lo sapeva, ma anche lo scrittore, che per molte cose che avevano a che fare coi sentimenti era un ottuso, come è già stato scritto, simile a sua madre e agli zii materni, persone avare, egoiste, degli infelici in una ignoranza senza fondo.
Se Simenon ebbe rapporti sessuali con diecimila donne, perlopiù conosciute nei bordelli di mezzo mondo, senza sapere né il nome, né una caratteristica fisica, né niente, per colpa di una madre che non lo stimava, il tutto appare semplicistico e di nessun aiuto a capire i vizi di un uomo.
Chi scrive non ha mai voluto essere uno scrittore nemmeno per sbaglio, perché non ha mai avuto talento, eppure provo un’invidia per gli ultimi libri di Gianluca Barbera, perché sono perfetti, ambigui, attraversati da una malinconia che ha origine dalla consapevolezza che tutto finisce, tutto scolora.
Il fatto che coi suoi libri non riempia le pagine culturali dei migliori quotidiani nazionali è irrilevante. Mai come ora c’è una tale mancanza di gusto letterario, da avere le vertigini. Ma non c’è da disperarsi, niente è più mutevole e sorprendente dell’editoria italiana e straniera, in questi anni qui.
Se il diavolo
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