Shah Mat. L’ultima partita di Capablanca
- Autore: Gesualdo Bufalino
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2006
Forse pochi sanno che il noto scrittore di Comiso, Gesualdo Bufalino, aveva iniziato a scrivere, poco tempo prima di perdere la vita, un romanzo ispirato a José Raul Capablanca, grande scacchista cubano. Non poté completarlo e rimane soltanto la stesura di due capitoli in cui è narrata, tra invenzione e realtà, l’ultima giornata di vita del “don Giovanni degli scacchi” e dell’amore per le donne. “Shah Mat. L’ultima partita di Capablanca” s’intitola il libro, stampato, nel decennale della scomparsa (2006), dalla casa editrice Bompiani, in collaborazione con la Fondazione Gesualdo Bufalino, in edizione limitata e fuori commercio, recante una raffinata copertina raffigurante il dipinto “Echec et mat” di René Magritte. L’insigne studioso Nunzio Zago, concittadino di Bufalino, ne ha curato la colta postfazione da cui affiora anche l’avvincente testimonianza del Nostro scrittore sulla sua estrema bravura come scacchista, sua giovanile passione:
“Battevo tutti, rammento, coetanei con l’acne, adulti increduli, famigerati portabandiera dei dopolavori vicini. Giocavo con gli occhi bendati, amavo i colpi spettacolari, i gambetti, i sacrifici di Donna … Dopo qualche po’ rinsavii, mi prese un’uggia del vincere, una sonnolenza, e non un sonno della ragione, che non esito a credere m’abbia salvato da una trappola che qualcuno m’aveva teso. Morphy non fu così fortunato …”.
Peraltro, in “Notizie da Cruseiton”, capitoletto di due pagine presente nel volume “Cere perse”, il nostro scrittore, a parte altri riferimenti da “Diceria dell’untore” a “Tommaso e il fotografo cieco”, racconta un gustoso episodio risalente a una sera di febbraio del ’42 quando il rigore invernale, malgrado la fioritura del mandorlo, costringeva a trascorrere alcune ore dentro i caffè:
“Un tenente pilota tedesco in libera uscita, uno di quelli che partivano giornalmente dall’aeroporto di Comiso per andare a buttare bombe a Malta, si fermò in piedi dietro il mio tavolo e scompigliò con la mano guantata di bianco la scacchiera dove stavo giocando da solo una partita famosa. Poi ordinò due liquori, mi sedette di fronte, mi sfidò a segni, e fu una sfida da ricordare”.
Il professore gli aveva dato Shah Mat. Anche in “Saldi d’autunno” egli parla di scacchi, la cui metafora ha sempre ispirato confronti con lo spettacolo, l’agone, la morte (“Una corrida dove il toro da uccidere è il re”): precisamente nel brano “L’anima russa e gli scacchi” si legge di “un duello all’ultimo sangue, scontro e incontro di fantasie, astuzie, nervi, intelletti, energie, il cui esito previsto è l’annientamento”. Nei due capitoli del libro in parola, precisa Zago, la lingua, pur conservando la sua originalità, è meno “farcita”, scarnificata, asciutta: restano ormai le ossa delle cose, perché la storia, in bianco e nero e sottratta ad ogni sorta di lirismo, si svolge in sintonia con l’essenzialità della parola. L’ultima sera – il 7 marzo 1942 in una New York dal cielo “più nero che blu” - prima che giocasse la più drammatica partita con se stesso (cioè, prima che la morte potesse recidere la sua vita), per sottrarsi alla solitudine, il campione cubano decide di andare a vedere un film. Se il filo conduttore del primo capitolo è dato dall’associazione cinema-ricordi (Gli era bastata solo una manciata di fotogrammi per rivedersi ragazzo e rianimarsi), nel secondo a prevalere è il gioco di seduzione fra lo scacchista e la giovane sconosciuta che, seduta accanto a lui, durante la proiezione l’aveva adescato. Da qui si apre una serie di suspense fino alla frase di chiusura:
“A questo punto qualcuno bussò alla porta”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Shah Mat. L’ultima partita di Capablanca
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