L’uomo invaso e altre invenzioni
- Autore: Gesualdo Bufalino
- Categoria: Narrativa Italiana
Con “L’uomo invaso e altre invenzioni” (Milano, Bompiani, 1986), Gesualdo Bufalino ci consegna ventidue racconti di varia estensione, ricchi di alta inventività con un linguaggio che, tra il poetico e il letterario, coinvolge e rapisce.
Esperto indagatore della psiche, l’autore affresca gli enigmi della condizione umana attraverso composite strategie attraversate dal senso del malinconico: esse vanno dal comico al fantastico, dallo storico e filosofico all’apologo. Il ventaglio tematico è ad ampio raggio con ascendenze che fanno pensare a Maupassant, a Cechov e soprattutto a Pirandello. Del drammaturgo e scrittore agrigentino, si sa, è l’umorismo a manifestarsi nel sentimento del contrario e pare che sia questa particolare modalità esistenziale a costituire il filo conduttore di questo libro.
A una rapida esemplificazione, ecco alcune tracce significative.
Nel racconto d’apertura, che dà il titolo all’opera, la parodia della “Metamorfosi” di Kafka è evidente: il personaggio Vincenzino La Grua, narrando il suo processo di cambiamento, si scopre, in maniera allucinatoria, invasato da una malevola creatura angelica che l’allontana dal gusto della quotidianità al punto da fargli praticare la solitudine. L’ironia sulle “sublimità metafisiche”, mescolata con la citazione dello Pseudo-dionigi sulla natura bruciante dei sublimi Serafini, è a tutto tondo. Bufalino insomma si diverte a cambiare le carte in tavola e sembra di non volere prendere nulla sul serio. Così appare nel racconto dedicato a Gorgia da Lentini: testo in cui viene rielaborata quella corrente di pensiero per la quale tesi e antitesi hanno lo stesso valore. Anche l’inversione dei ruoli inerisce all’ambiguità: sicché, Sancio diviene l’eroe fantasioso, mentre don Chisciotte torna alla realtà.
Ne “Il ritorno di Euridice” l’ironia sul mito di Orfeo è tagliente: infatti, costui trasgredisce all’ordine impartitogli da Plutone per liberarsi della sua donna, ricacciandola nell’Ade.
Ne “L’uscita dall’arca ovvero il disinganno” sono destabilizzate le aspettative di Noè allorquando, dopo il diluvio, il patriarca biblico si rende conto che i meccanismi dell’aggressività continuano a dominare sulla natura e sull’uomo.
Ne “Le visioni di Basilio”, il protagonista, da sacro custode dei “monumenti della scrittura” corrosi dall’ “invulnerabile verme” apparso subito dopo la fine della seconda ecatombe nucleare, per ironia della sorte diventa vittima sacrificale. In sostanza, la scoperta consiste nella contraddittorietà dell’esistenza: non a caso Giufà, tipico emblema dell’oralità contadina, viene ucciso da una “macchina mobile” al tempo del fenomeno dell’industrialismo che, in Sicilia, s’incarna nel dinamismo della “targa Florio”.
Ne “Il pedinatore” la ricerca non ha approdo, resta insolubile in un giuoco di rimandi e di rovesciamenti:
“Io sto inseguendo qualcuno che sta seguendo qualcuno. Ma qualcuno mi sta seguendo. E non si nasconde nemmeno. E non so chi è”.
L’uomo da protagonista elabora schemi interpretativi dell’esistenza, ma in fondo da essa egli risulta agìto senza un perché, senza neanche le corrispondenze foscoliane.
In “Voci di pianto da un lettino di sleeping-car” è struggente il dialogo con un Dio muto di cui insperatamente si vorrebbe pretendere l’esistenza. Nell’angosciante razionalismo bufaliniano, che si svolge tra invocazione e dissacrazione, l’insanabile frattura tra il sacro e il profano si risolve nella frode. A prevalere è la montaliana immagine del mondo come “refuso” di Dio.
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