Sogni e altiforni. Piombino-Trani senza ritorno
- Autore: Gordiano Lupi, Cristina de Vita
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2018
Non so se Piombino possa aspirare allo statuto di città-mondo, di certo è il posto della fragole di Gordiano Lupi: l’alveo geografico con cui fare i conti. Con se stessi e la vita, che se non proprio agra poco di manca. In principio è stato dunque “Calcio e acciaio. Dimenticare Piombino”, con il protagonista calciatore del tipo degregoriano “che hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro/ e adesso ridono dentro al bar”, qui al rendez-vous con i pensieri buoni e cattivi intorno a un tempo che è passato e non può più tornare.
Resistono i ricordi di due suoi grandi amori: il calcio e Debora, ormai fantasmatici entrambi.
“Sogni e altiforni” (Gordiano Lupi con Cristina de Vita, per Acar Edizioni) è a tutti gli effetti un sequel di “Calcio e acciaio”: stesso antieroe, stesso sfondo piombinese, stesse passioni rivedute e corrette col tempo e nel tempo (qui Debora ha anche una voce autonoma, restituita dalla penna di Cristina de Vita). Il tono del romanzo è amarognolo, come amarognoli possono e sanno essere i bilanci esistenziali: a guardar bene proprio la plausibilità ontologica del plot, insieme a una vena malinconia che non sbrodola, costituisce uno dei traini del libro.
Dunque l’ex bravo calciatore aveva lasciato la provincia mosso da sogni di gloria sportiva, per poi ritornarvi dopo qualche tempo, continuare a giocare e allenare e vivere sulla propria pelle le controindicazioni fisiologiche della noia e del rimpianto. Rammarichi mai ammessi fino in fondo né con gli altri né con se stesso, anzi mascherati da motivazioni di copertura. Il rimpianto più sordo forse riguarda proprio Debora e nel caso specifico De Gregori si sbaglia: non è vero che:
i calciatori tristi(…) sono innamorati da dieci anni/ con una donna non hanno amato mai.
Il calciatore di Piombino ha amato (ama?) Debora al punto da non dimenticarla. Si può evincere adesso come “Sogni e altiforni” possa risultare un romanzo intessuto di diversi moti a luogo interiori ed esteriori: bilanci, ricordi, stadi, amori lati e declini pure, declini individuali e collettivi (quelli di una Piombino ormai priva del suo acciaio, per esempio), climi, odori e sapori perduti. Come perduti sono i sogni. E gli altiforni del titolo.
Questo di Gordiano Lupi e Cristina de Vita è insomma un racconto sommessamente proustiano e scopertamente anti-moderno (“Non potete togliermi il profumo del tempo passato”), restituito in uno stile che non prevarica l’idea che ogni lettore può farsi di una storia entro cui può proiettare persino le sue personali nostalgie. La bellezza di questo romanzo sta proprio nella potenziale universalità della sua trama e nella nostalgia (nell’accezione greca di “dolore del ritorno”, νόστος, ritorno, e άλγος, dolore), che finisce con l’esserne l’autentica protagonista. Suggerisce in prefazione Stefano Tamburini:
è la nostalgia che fa battere forte il cuore senza mai restare prigionieri del passato. Ed è l’atto d’amore più grande di questo romanzo.
Ultima cosa: "Sogni e altiforni” reca per "Titoli di coda" (poi succede la versione complementare di Cristina de Vita, “Sinfonia d’autunno. La voce di Debora”), il testo di una canzone di Roberto Vecchioni: si intitola La mia stanza e riflette il senso primo e ultimo del libro:
La chitarra riempie la tua stanza/ come te la riempivano gli amori/ forse a diciott’anni non c’è distanza/ tra le cose dentro e quelle fuori/ forse a diciott’anni si canta e basta/ essere sentita o non sentita non ti cambia la vita/ Io non ho l’età/ e ho le palle piene di vedermi questa gente attorno/ manager cazzuti, falchi e iene/ ti farò sapere quando torno/ ma ti lascio un sacco di parole/ e quel po’ di roba che mi avanza/ qui nella mia stanza…
Chiaro il parallelismo, no?
Sogni e altiforni. Piombino-Trani senza ritorno
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