Tra i castagni dell’appennino. Conversazioni con Francesco Guccini
- Autore: Francesco Guccini
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: UTET
- Anno di pubblicazione: 2014
Così Roberto Vecchioni in merito al poderoso specifico di Francesco Guccini:
“Si scrive Guccini, si legge “Locomotiva”, ma paradossalmente “La locomotiva” è la canzone meno gucciniana fra tutte, una perla isolata e magnifica, tutta sua, ma lontana parecchio dalle forme ricorrenti, dal procedere per esclusione di certezze, dall’individuar lampi occasionali di verità. Probabilmente è “La locomotiva” ad aver convinto Guccini di essere, come dice, un “cantastorie”, cosa che non è. Guccini è un “cantapensiero”, è un “cantadubbio”, il più alto, il più vero, il più sparpagliato e sincero che si conosca”.
Nel mio piccolo, sottoscrivo in tutto e per tutto. Non per buttarla sul difficile ma trovo che il senso autentico dello scrivere e del cantare gucciniani sia compreso tra due poli: da un lato il chiedere/chiedersi incessante (“sentinella quanto resta della notte?”) dall’altro la gramsciana medesimezza che ci rende ontologicamente uguali (“siamo cattivi e buoni/ e abbiam gli stessi mali/ siamo vigliacchi e fieri/ saggi, falsi, sinceri... coglioni!”).
Le copiose ballate gucciniane si pongono, a ben guardare, come reiterate stanze di vita quotidiana (presenti e passate, drammatiche e più distese, vissute o soltanto immaginate), pre-testo per una strenua ricerca dell’oltre. L’oltre che può nascondersi – quasi sempre si nasconde - “dietro la faccia abusata delle cose/ nei labirinti oscuri delle case/ dietro lo specchio ambiguo di ogni viso/ dentro di noi”. Quello di impronta gucciniana è un habitus mentale neo-socratico (un sapere di non sapere), attraverso il quale le cose della vita ci sono restituite in forma relativa e mai assoluta, mediante un precariato esistenziale che non degenera in resa, piuttosto in occasione per ri-cominciare/continuare la ricerca, tentare di scoprire ciò che è occultato tra il detto e il non-detto, l’apparire e lo sfumare, il ricordo e l’oblio.
Alla luce di tutto ciò occorre dunque guardarsi bene dal ridurre Guccini a cantautore politico. I più attenti tra i guccinologi passati e presenti queste cose le sanno. E lo sa bene anche lo scrittore-saggista Marco Aime che in “Tra i castagni dell’appennino. Conversazioni con Francesco Guccini” (Utet, 2014) inquadra il Nostro alla luce, soprattutto, del suo rapporto col Tempo. Che significa, in fondo, anche rapporto con le radici. E con la storia. Davvero niente male per un docente di Antropologia Culturale (Aime insegna all’Università di Genova) in trasferta tra i topoi di peso specifico del canzoniere gucciniano.
In “Tra i castagni dell’Appennino” ci sono tutti-tutti in ordine sparso: dal topos classico della Notte all’altro del Viaggio (più immaginato che intrapreso), dalle figure-simbolo di un epos quotidiana ai miti letterari (alti e bassi), da Pavana (una specie di “isola ritrovata”) a innumerevoli e diverse altre geografie/ontologie. Ciò che fa Aime in questo libro-saggio è misurarli con pensieri & parole del cantautore medesimo. In un conversare fitto e diagonale (molto di più che una sterile intervista) alla ricerca di quel “quid” intellettuale (e persino filosofico) che ha reso Guccini un caposaldo imprescindibile della cultura italiana. Come si può vedere, ottimi gli intenti e ottima la resa.
Malgrado la corposa bibliografia già edita sul Maestrone, “Tra i castagni dell’Appennino” è un libro da non mancare. Perché - su un piano strettamente analitico - si allontana spesso da sentieri già tracciati, e su quello formale è un testo che si legge con grande piacere. Se state aspettandovi un voto, decido per il nove pieno (scusandomi, peraltro, col prof. Aime se mi sono permesso. So bene che i voti, di solito, li dà lui).
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