Una bambina di Torey l. Hayden

Nel romanzo "Una bambina", Torey Hayden descrive quella che può essere l’esperienza di eccellenza di un’insegnante. Chi si occupa di bambini sa bene che tipo di angoscia si può provare quando gli viene prospettato un caso difficile da inserire nella sua classe. Sono i momenti in cui si tocca con mano quanto questo mestiere sia una missione, tutt’altro che semplice e riposante, tutt’altro che ricca di sicurezze. Ma sa bene anche che un caso difficile può diventare il più appassionante della propria carriera.

A Torey dicono che dovrà occuparsi di una piccola che ha legato un bimbo di tre anni ad un albero per poi dargli fuoco. Un caso terribile, probabilmente irrecuperabile. Ovviamente lei è terrorizzata. Quando poi la bimba entra nella sua aula, il panico aumenta: sguardo inquietante di chi ha accumulato fin troppa rabbia, paura e sofferenza; aspetto selvaggio e trasandato che trasmette ulteriore aggressività; odore ripugnante che rende difficile la vicinanza fisica; modo di parlare primitivo che la fa sembrare aliena.
Ma Sheila, a scapito dell’apparenza e dei terribili fatti che la precedono, non è una belva indomabile, bensì una bambina, e una bambina piccola. E Torey sa aspettare e sa osservare. In questo modo può trovare quella finestra che i bambini hanno sempre, quella che dà sui loro bisogni, sui loro sogni, sulla loro voglia di vivere. E anche sulle loro potenzialità. Per un bambino c’è sempre qualcosa da fare, non bisogna mai arrendersi. Non a caso, dopo poche lezioni, inaspettatamente Sheila inizia a sorridere.

Ne nasce un rapporto ricco e profondo che vede la bambina fiorire come per miracolo e la maestra passare da un’emozione forte ad un’altra, ora negativa, ora positiva: paura, curiosità, repulsione, commozione, orrore, gioia profonda.
L’epilogo fa venire in mente la conclusione del famoso fil "La morte corre sul fiume": i bambini sono molto più forti degli adulti e resistono a lungo perfino nelle avversità più inimmaginabili. Per Sheila è così di sicuro.