Una storia crudele di Natsuo Kirino

È difficile il mestiere dello scrittore specie quando da tempo non sei più una rivelazione, ma un autore affermato in crisi creativa, proprio come la 35enne Koumi Narumi, nickname professionale della protagonista di Una storia crudele di Natsuo Kirino (Giano, 2011, trad. G. Coci). In questo delicato frangente la donna - il cui vero nome è Ubukata Keiko - scompare all’improvviso lasciando in bella vista una lettera per il suo editore. Il marito, disorientato, rimarrete stupefatti scoprendo la sua identità, ne legge avidamente il contenuto, sperando sia l’agognato best seller per rilanciare la carriera della moglie. Ma il consorte fa una scoperta sconcertante: si tratta della ricostruzione di un doloroso episodio autobiografico che ha sconvolto, forse per sempre, la vita della riservatissima Keiko.

Infatti, bambina, è stata vittima di un sequestro. Ai tempi dell’episodio, contorni, attori, figuranti e dinamiche rimasero un mistero per genitori, assistenti sociali, psichiatri e inquirenti. La piccola Keiko si barricò in un silenzio d’acciaio. Le modeste condizioni della famiglia esclusero un movente economico. Ma i dubbi di questa vicenda frastagliata, che la pluralità dei punti di vista rende avvincente e convincente, non finiscono qui.
A cominciare dal quartiere, inadatto per una preadolescente, in cui è avvenuto il rapimento. Il luogo della segregazione. Il ruolo dei vicini. I contorni di una liberazione forse troppo facile.

Non è detto che il manoscritto autobiografico sia sempre in grado di fornire risposte o almeno quelle che il lettore si aspetta, perché la scrittrice giapponese è una maestra del depistaggio. Certamente la "crudeltà" del titolo riguarda, a mio avviso, tutti i personaggi che a turno la esercitano o la subiscono con mille sfumature.
Natsuo Kirino sa dare voce anche a quello che di noi stessi non sappiamo o non vogliamo conoscere. Una magnifica lettura.