Verdun 1916. Il fuoco, il Sangue, il Dovere
- Autore: Alessandro Gualtieri
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2010
Fosse stato per gli altri generali tedeschi, quella battaglia non si sarebbe mai combattuta e questo libro non sarebbe stato scritto. Ma von Falkenhayn mantenne il segreto e mise gli stessi colleghi di fronte al fatto compiuto. Le tranquille linee francesi sulla Mosa vennero aggredite e poco meno di cento anni dopo ecco “Verdun 1916. Il Fuoco, il Sangue, il Dovere”, un volume pubblicato nel 2010 dall’Editore Mattioli 1885 (176 pagine 16 euro). Lo firma Alessandro Gualtieri, milanese, ricercatore di storia militare, ideatore e curatore del sito lagrandeguerra.net e già autore, sempre per la casa editrice di Fidenza, di altre monografie sulle battaglie della Somme, di Ypres e sull’arma aerea, “L’aviazione nella Grande Guerra” (Mattioli, 2015).
Il Capo di Stato Maggiore dell’esercito del kaiser, Erich von Falkenhayn, aveva ideato una strategia che doveva portare a dissanguare l’esercito francese, costringendolo a consumare risorse insostituibili di uomini e materiali per difendere una posizione che in realtà i tedeschi non intendevano necessariamente conquistare. La più sanguinosa battaglia di tutti i tempi è stata perciò scatenata per provocare più danni possibili ad uno solo dei contendenti, ma ha gettato in uno scannatoio entrambi.
Il progetto del feldmaresciallo faceva affidamento sulla psicologia del nemico: sarebbe bastato sferrare attacchi risoluti in un settore che fosse allo stesso tempo strategico e moralmente importante per la Francia, da obbligarla a non badare alle perdite che l’artiglieria pesante tedesca avrebbe arrecato. Fissato il piano, andava individuato il luogo. Fu scelta Verdun, città storica.
Quando alle 7.15 di mattina del 21 febbraio 1916 venne avviato di sorpresa il terribile fuoco di distruzione che avrebbe battuto per dieci ore consecutive le posizioni francesi, Falkenhayn non sospettava lontanamente che stava dando il colpo di gong alla terribile mattanza che nei dieci mesi a seguire avrebbe mietuto anche un tedesco ogni 45 secondi. Certo, alla fine del bombardamento due francesi ogni cinque erano sepolti nelle trincee dalle esplosioni, qualche sacca di resistenza aveva rallentato le fanterie del kaiser all’assalto, ma in pochi giorni erano stati conquistati alcuni dei forti davanti alla città, che Parigi considerava imprendibili.
Per recuperare il terreno perduto, i poilus si consumarono in dieci mesi di estremi sforzi offensivi, senza contare perdite e impegno logistico. Però anche il Comando germanico si era fatto attrarre nella spirale di una contesa crudelissima, che divorava reparti interi, enormi quantità di munizioni, ogni risorsa umana, morale, economica.
A Verdun, non si moriva semplicemente, si veniva macellati. Si scompariva, annientati, polverizzati, carbonizzati, letteralmente sbriciolati sulle fertili colline di Francia, scrive Gualtieri. Un mattatoio di giovani vite, sacrificate in nome degli orgogli nazionalistici, in un territorio di poco più di 900 ettari, al confine tra Francia e Germania.
Il 21 febbraio scattò l’offensiva tedesca. Il 3 novembre i francesi rientrarono nel forte di Vaux, l’ultimo rimasto al nemico. Il 19 dicembre si conclude ogni azione. In 300 giorni di orrore costante, si contarono secondo fonti ufficiali 714mila perdite complessive tra i due eserciti (quasi alla pari, solo qualche francese in più). Si tratta di 2380 uomini morti o feriti al giorno. Una stima recente calcola, forse ancora per difetto, 420mila morti e 800mila feriti o intossicati dai gas. Non c’è paragone con nessun altro scontro con armi convenzionali: nei cinque anni dell’intera guerra 1939-1945 il Regno Unito perderà 351mila caduti e 100mila dispersi, impegnandosi in Europa, Nordafrica, Oriente ed anche per mare e nei cieli.
Mai tante perdite per niente. Mai tanti proiettili sprecati (oltre 23 milioni di granate lanciate solo dai francesi).
Una battaglia evitabile, non decisiva, senza un vincitore, a parte il vantaggio morale per l’esercito transalpino e quello territoriale, insignificante, per le linee tedesche, poco più di un campo di golf, arrossato dal sangue dei caduti.
Una battaglia tragicamente inutile. Von Falkenhayn potrebbe vantare di aver costretto all’esaurimento le superbe armate di Francia. Ma dopo il tritacarne sua Mosa, anche le truppe germaniche non furono più le stesse.
Troppi caduti. Tra le testimonianze proposte da Gualtieri, oltre a numerose fotografie della sua collezione privata, la dichiarazione di un ufficiale francese non lascia spazio a dubbi sulla ferocia inaudita di quel macello.
Quattro giorni e notti, 96 ore nel fango semighiacciato delle trincee, sotto il fuoco nemico, senza protezione o riparo. Di 175 uomini, solo 34 hanno fatto ritorno, la maggior parte completamente impazziti.
Gli fa eco un nemico. Nella lettera di un soldato tedesco, si legge
Molti giovani hanno perso la vita qui e i loro poveri resti giacciono in decomposizione, dimenticati tra le trincee, nelle fosse comuni, nei cimiteri improvvisati.
Tutto ancora parla di morte a Verdun. Il monumento commemorativa della 69a divisione di fanteria francese è uno scheletro di marmo.
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