Yoshe Kalb
- Autore: Israel Joshua Singer
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2014
“La grande corte hassidica di Nyesheve in Galizia era in fermento per i preparativi del matrimonio di Serele, la figlia del Rabbi”.
Rabbi Melech, uomo di “sessanta e passa anni”, rumoroso, eccitabile, con labbra carnose e sensuali che succhiavano senza posa un grosso sigaro, era noto non solo per la sua fretta ma soprattutto per la sua risolutezza e tenacia.
“Una volta che si era messo in testa una cosa, si agitava, gridava, minacciava, blandiva e si dava da fare finché non avesse raggiunto il suo scopo”.
Ora il Rabbi si era messo in testa di maritare la figlia più piccola, Serele e “nemmeno il calendario era un ostacolo per lui”. Lo sposo si chiamava Nahum ed era figlio dell’illustre Rabbi di Rachmanivke, in Russia, il quale era contrario a questa “fretta indecorosa”:
“il nobile e dotto rabbino ammetterà che sia lo sposo sia la sposa sono ancora giovani, poco più che bambini. Hanno solo quattordici anni”
Lì in quella terra asburgica della fine del XIX Secolo Rabbi Melech non intendeva, però, sentire ragioni: vedovo da poco tempo di una moglie molto amata, era il sovrano della sua corte che brulicava di bambini e che abitava nella grande, malandata casa del patriarca. La furia di Rabbi Melech era da attribuire al fatto che voleva sposare al più presto Malka, bella e giovane orfana senza prospettive e senza dote, nipote del “balbuziente e di poca testa” Mechele Hivener. L’unico ostacolo era dunque rappresentato da Serele, perché prendere una nuova moglie prima di aver sposato la figlia minore era troppo perfino per lui. D’altro canto Nahum non era per nulla maturo per il matrimonio: portamento aristocratico, silenzioso e poco comunicativo, “fragile e slanciato come il padre, nervoso e sensibile come la madre, era sempre immerso nelle speculazioni mistiche, nei sogni della Qabbalah”. Serele assomigliava al padre: ben in carne con gambe solide, una massa di capelli rossi, denti forti e un seno pienamente sviluppato, da donna matura. Dopo il matrimonio al quale Nahum aveva partecipato con orrore e riluttanza e dopo aver consumato il dovere coniugale con una Serele sempre più avvinta, il ragazzo “si aggirava solitario, come un’anima persa”. Fin dalla prima occhiata Nahum aveva compreso che Serele non gli piaceva,
“lo ripugnava la sua pesantezza priva di fascino, il suo modo di parlare grossolano, la sua ottusa devozione”.
E poi un giorno, in quella brutta corte tra quelle pareti pallide e scrostate era accaduto qualcosa di straordinario e di inaspettato. Nahum aveva trovato la felicità e il suo destino quando aveva visto per la prima volta il volto di Malka “la prima signora della casa” impalmata da Rabbi Melech con nozze in grande stile.
“Il suo struggimento per luoghi lontani svanì, come se non l’avesse mai provato”
ora gli occhi di Malka avevano trasformato quella prigione senza sbarre in un luogo nel quale Nahum “avrebbe potuto passare il resto della sua vita”.
Quindici anni dopo, un ebreo alto e magro, con barba e cernecchi neri come il carbone e le cui vesti malconce erano coperte di polvere, si era presentato presso la grande corte hassidica di Rabbi Melech asserendo di essere il marito di Selele scomparso giusto quindici anni prima.
“Shalom aleykhem”, “Aleykhem shalom”. “Da dove vieni?”. “Dal mondo”.
Chi era veramente quell’uomo vestito di stracci? Il genero del Rabbi di Nyesheve o Yoshe Kalb, “soprannominato il tonto di Bialogura”?
“... un giorno mio fratello cominciò a parlarmi di Yoshe Kalb. Quella di Yoshe Kalb è una storia vera; in Galizia era esistito un tale soprannominato così, e ciò che narra questo libro è realmente ciò che gli accadde. Per diversi anni il mondo hassidico fu in subbuglio per causa sua. Molte volte avevo udito mio padre raccontare la sua storia”.
Nella Prefazione del volume Yoshe Kalb (Adelphi, 2014, curato da Elisabetta Zevi e tradotto da Bruno Fonzi), Isaac B. Singer (1901 – 1991, Premio Nobel per la Letteratura 1978) descrive la genesi del romanzo del fratello maggiore Israel Joshua Singer (1893 – 1944) nel quale l’autore rappresenta “un uomo di intensa fede, di grandi passioni e di profonde contraddizioni”.
“Mio fratello era un narratore nato”
prosegue Isaac B. capace di descrivere con toni colorati, ironici e drammatici la vita hassidica in Galizia all’interno di una comunità chiusa.
Scritto originariamente in yiddish il romanzo apparve prima a puntate sullo Jewish Daily Forward nel 1932 e poi in volume nello stesso anno. Tradotto in inglese con il titolo The Sinner (Il peccatore) presso l’editore Liveright, Yoshe Kalb aveva già ottenuto un clamoroso successo anche a teatro grazie all’omonima riduzione teatrale. La storia di Nahum/Yoshe, che sente di non appartenere a nessun luogo, perché non si riconosce più nelle sue tradizioni e nelle sue radici, è il simbolo della tragica figura dell’ebreo errante e i lettori lo scorgono nel suo incessante vagabondare. Chissà, una delle tante tappe di Yoshe Kalb potrebbe essere La strada per Murnau (1909) ritratta da Wassily Kandinsky splendida copertina di un romanzo capolavoro del Novecento.
“Vestito di cenci, sulle spalle una sacca tutta rattoppata, con dentro una pietra come zavorra, lo scialle di preghiera e i filatteri, il bastone in mano, si allontanava rapido volgendo la schiena a Nyesheve. Nei villaggi, i cani randagi lo rincorrevano e i pastorelli gli lanciavano sassi gridando: “Ehi! Giudeo!”. Ma lui sembrava non accorgersene. Continuava a camminare, attraverso campi e prati, passava davanti a laghi e mulini a vento. La luna illuminava il suo volto, vegliando su di lui”.
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Tra i romanzi più importanti di Israel Joshua Singer (fratello del più noto Isaac), oltre a "I fratelli Ashkenazi" e "La famiglia Karnowski", va annoverato anche "Yoshe Kalb", apparso nel 1932 in lingua yiddish ed in puntate sul "Jewis Daily Forward" di New York. Attraverso lo stile inconfondibile dell’autore, viene narrata la storia di Nahum, uomo inaccessibile ed imperscrutabile, dedito esclusivamente allo studio dei testi sacri e della legge. L’opera si apre con la celebrazione di due matrimoni: quello della figlia del rabbino di Nyesheve, Serele, con il giovane e fragile protagonista del romanzo e quello del rabbino stesso, personaggio importante ed influente nella comunità. La scelta del rabbino, rimasto vedovo già tre volte, cade su una giovanissima quattordicenne: Malkah. Quest’ultima è stata cresciuta dagli zii a seguito dell’abbandono della madre, scappata a Budapest con un ufficiale, e la precoce scomparsa del padre. La giovane, a causa della propria indole ribelle ed intollerante alle usanze della cultura ebraica della congregazione, non riesce a conquistare l’affetto degli unici parenti rimastele che, infatti, hanno fretta di allontanarsi da quella ragazza definita spesso "il demone". Gli sposi conducono le proprie vite nella stessa casa e tale circostanza favorisce la vicinanza di Nahum e di Malkah. Nahum combatte contro se stesso ma nonostante le proprie remore sia morali sia religiose si innamora proprio della moglie del suocero, della moglie del rabbino Melech. Il sentimento sembra reciproco; per Malkah, infatti, solo la presenza di Nahum riesce a rendere tollerabile la vita a Nyesheve. Malkah, tuttavia, perde la vita tentando di dare alla luce il primo figlio e quella stessa notte, Nahum, sconvolto, decide di abbandonare la propria casa nonché l’umile e devota moglie. La seconda parte del romanzo descrive, a tratti cinicamente, le peregrinazioni di Nahum, la sua perdita di identità, la continua lettura dei salmi. Egli vive da mendicante, stabilendosi nella comunità di Bialogura, luogo in cui viene considerato un inetto, tanto da essere soprannominato Yoshe Kalb, il tonto. Qui, a suo malgrado, Yoshe si trova coinvolto in un terribile equivoco: quello di aver approfittato della problematica figlia di Kanah il custode. La confraternita, al fine di redimersi ed invocare il perdono per quanto accaduto, costringe Yoshe a sposare la ragazza. Subito dopo la celebrazione del matrimonio, l’uomo abbandona la seconda moglie rientrando a Nyescheve dopo quindici anni. Il ritorno ha luogo durante la celebrazione dell’anniversario della morte del grande rabbino, nonno di quello in carica. Il genero e la stessa moglie di Nahum stenteranno a riconoscerlo e, solo dopo aver avuto prova inconfutabile della sua identità, lo riabbracceranno. Nahum riprende il proprio posto in famiglia e prosegue negli studi ma diviene ancora più misterioso, non parla con nessuno, nemmeno con la moglie e se qualcuno lo saluta si limita a rispondere non accettando gli inviti ricevuti. Un tale alone di mistero fa sì che la congregazione cominci a crederlo un santo; le donne, disperate, chiedono di incontrare "il reduce" affinché questi possa intercedere per loro. Tutto ciò prosegue fino a quando qualcuno lo riconosce e lo identifica in Yoshe, l’uomo che ha reso Zivyah un’agunah, una donna abbandonata. Il risultato è quello di creare una forte tensione fra le comunità di Nyesheve e di Bialogura. Nella sinagoga viene instaurato un tribunale formato da settanta rabbini al fine di giudicare la condotta del giovane, ormai divenuto un uomo: santo, in grado di succedere al rabbino di Nyesheve, o peccatore? Su lunghe panche siedono i testimoni dell’accusa e della difesa. Essi vengono sentiti a turno e tra questi saranno comprese anche Serele, la prima moglie, e Zivyah, la seconda. L’ultima testimonianza fa pendere l’ago della bilancia per la vittoria di Nyesheve, tuttavia il tragico epilogo della vicenda congelerà il risultato raggiunto. L’opera, diversa dagli altri due romanzi più famosi di Singer ma altrettanto affascinante, prende spunto da fatti realmente accaduti in una comunità di ebrei galiziani nel diciannovesimo secolo di cui l’autore fa emergere usanze, descritte minuziosamente, profonde tradizioni e contraddizioni ma anche intensa fede e grandi passioni.