Sender Prager
- Autore: Israel Joshua Singer
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2015
Sender Prager (Piccola Biblioteca Adelphi 2015, traduzione di Elisabetta Zevi) di I. J. Singer (Biłgoraj, 30 novembre 1893 – New York, 10 febbraio 1944) è il racconto lungo dello scrittore polacco autore yiddish, fratello maggiore di Isaac Bashevis Singer Nobel per la Letteratura 1978, apparso per la prima volta a puntate sul quotidiano yiddish Forverts, 27 marzo - 1 aprile 1937, e tradotto dallo yiddish sulla base del testo pubblicato in Dertseylungen (Racconti), Farlag Matones, New York, 1949.
“Allo spuntar del giorno i mendicanti di Varsavia cominciarono ad affollarsi intorno alla porta rossa del Ristorante Praga, ritrovo abituale dei mercanti di bestiame e dei giovinastri del quartiere”.
Quella mattina particolare nella vetrina appannata del locale era esposto oltre a un’oca arrosto con un bastoncino di legno piantato nel ventre e un piatto con delle enormi teste di pesce le cui bocche spalancate erano piene di rondelle di carote, un annuncio che portava una bella notizia per tutti i poveri della città polacca. In una bella grafia tondeggiante si annunciava che in onore del felice e fortunato matrimonio del proprietario del ristorante, Sender Prager, con la sua fidanzata Edye Baremboim, che sarebbe stato celebrato nel salone Venezia, sarebbe stato offerto un pasto gratuito a tutti i poveri del quartiere, dalle due alle quattro del pomeriggio. Era lo stesso sposo che firmava il biglietto. La giornata si annunciava fredda e nevosa ma i mendicanti, incuranti dell’orario scritto e del freddo, erano assiepati davanti all’ingresso del locale “una miniera d’oro” già dall’alba, dove Briton, il grosso bulldog di guardia all’entrata, guardava minaccioso i poveri che tentavano di intrufolarsi. Dopo tanti anni di esperienza, il cagnone dalle orecchie penzolanti aveva imparato a distinguere tra un cliente e un accattone, Briton non vedeva l’ora di lanciarsi sui cappotti stracciati degli uomini e sulle vesti infangate delle donne con i suoi canini bianchissimi e affilati ma il suo padrone, che assomigliava al cane come una goccia d’acqua, “tarchiato, collo corto e labbra carnose”, lo aveva trattenuto per la collottola.
“Briton, sii buono con i poveri, questa sera mi sposo. Mi ascolti, Briton?”.
Nelle cucine del ristorante che si trovava nel seminterrato, il vapore era così denso perché bollivano sul fuoco enormi pentoloni, controllati dalle cameriere cristiane ed ebree del ristorante. Queste ultime si asciugavano le lacrime con il grembiule punzecchiandosi a vicenda, mentre le cameriere cristiane ridevano delle loro compagne. Ma lo scherno e la malinconia non riuscivano a lenire il dolore comune. Le ragazze, più o meno giovani, più o meno attraenti, erano tutte passate per il sofà di velluto rosso di Prager situato nel suo “studiolo” o “camera nuziale” come veniva chiamato dai mercanti di bestiame e dai clienti abituali. Qui il ristoratore, 44 anni, uomo solido e vigoroso, dagli occhi lucenti e capelli impomatati, aveva consumato i suoi “tanti amorazzi della sua lunga vita di scapolo”. Ora era finito tutto, a vincere l’atavica resistenza del proprietario del Praga era stato il rabbino di Sender, il piccolo rabbi di Yartchev che abitava proprio di fronte al ristorante. Prager stava per impalmare una giovane donna rispettabile di fede hassidica che aveva la metà dei suoi anni. Il padrone si sposava, le cameriere, giù in cucina, versando lacrime di rabbia direttamente dentro i calderoni, pregavano volgendo lo sguardo al soffitto umido. Non c’era più speranza che una di loro, diventata signora Prager, sarebbe stata portata via dalla cucina per essere sistemata dietro al bancone della cassa per contare il denaro.
“Dio del cielo, fagli pagare la nostra umiliazione, Tu che puoi...”.
Con crudele ironia, l’autore yiddish dall’incredibile talento narrativo dimostra ancora una volta al lettore che nessuno è indispensabile, nemmeno il proprietario del Ristorante Praga.
“Briton sedeva sulla soglia del ristorante con la bocca aperta, la bava che gli colava lungo le guance, e guaiva sconsolato”.
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