La cappella di famiglia e altre storie di Vigata
- Autore: Andrea Camilleri
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Sellerio
- Anno di pubblicazione: 2016
Nella Collana La Memoria di Sellerio è appena uscito il volume “La cappella di famiglia e altre storie di Vigàta” (2016), quarto volume delle Storie di Vigàta del Maestro siciliano Andrea Camilleri, nato a Porto Empedocle nel 1925.
Otto racconti (Il duello è contagioso, La cappella di famiglia, Teresina, Il palato assoluto, La rettitudine fatta persona, Il morto viaggiatore, Lo stivale di Garibaldi e L’oro a Vigàta), sei dei quali inediti, in un arco cronologico che va dal 1862 al 1950 che si leggono come un unico romanzo, protagonista Vigàta, borgo immaginario, luogo ancestrale e dell’anima del grande narratore.
Vigàta è descritta come borgo animato da strani accadimenti, da personaggi percorsi da passioni violente e assolute, forte di un panorama d’incomparabile bellezza, simbolo e specchio deformante degli eterni vizi del popolo italiano.
Il duello è contagioso se tutto ha inizio il 2 di marzo 1912 a novecento chilometri e passa da Vigàta e precisamente a Roma, capitale del Regno d’Italia, dentro a
“’na squallita cammaruzza di un albirguzzo a ure, chiamato Rebecchino”.
Qui il barone Paternò, tenente di cavalleria che faceva la bella vita e assai conosciuto per le sue prodezze, pugnalò a morte, in seguito “a ’n’azzuffatina furibonna”, la sua amante che lo voleva abbandonare per sempre dopo due anni di amore disperato e travagliato assai. Il fatto di sangue finì sulle prime pagine di tutti i giornali, perché la morta era la bellissima contessa Giulia Trigona di Sant’Elia, sposata e madre di due figli prima dama di compagnia della corte di Sua Maestà la Regina Elena. Quindi lo scandalo aveva gettato legna sul fuoco sulla mai terminata guerra tra monarchici e repubblicani. Perché due persone così altolocate s’incontravano in un albergo della Capitale del Regno così, “fituso”? Si domandava don Vincenzo Paglia terminato di leggere il giornale all’interno del circolo di Vigàta. Era logico che se il “fattaccio” fosse capitato al Grand Hotel, il direttore non avrebbe subito chiamato i carabinieri ma, sapendo chi era la contessa, avrebbe avvertito per prima la corte, la quale si sarebbe comportata con la dovuta discrezione, sosteneva don Vincenzo a don Agatino Cipolla. In quel fatale momento era entrato nella sala del circolo il colonnello Anselmo Capatosta. L’ufficiale aveva la faccia arrabbiata e “l’occhi ’nfuscati”. Monarchico incallito, da quando era scoppiato lo scandalo non riusciva a pigliare sonno. Intuendo di cosa parlavano i soci, “li taliò torvolo”, batté i tacchi, si “’mpalò sull’attenti”, dicendo:
“Signori mi corri l’obbligo d’avvirtirivi che non tollero nel modo cchiù assoluto che in mia prisenzia s’ammanchi di rispetto a Sò Maistà la Rigina d’Italia”.
Nel concitato scambio di opinioni riguardante la moralità delle dame di compagnia della Regina, aveva preso parte anche don Michele Piazza che aveva ricevuto “’na timpulata ’n facci” dal colonnello Capatosta.
“Di quello che ha detto mi darà soddisfazione”. “L’avrà” rispose don Michele, ammollando “un càvucio nei cabasisi” all’ufficiale. “Alea iacta est”. “Il dado è tratto”.
Il guanto di sfida era stato lanciato “e raccogliuto”.
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