Gennaio è un componimento di Giovanni Pascoli pubblicato nel 1894, inserito nella terza edizione della raccolta Myricae.
La poesia, nota anche con il titolo Nevicata, racchiude un compendio di temi cari alla poetica pascoliana.
Di seguito vediamo come la poesia Gennaio si inserisce nella poetica di Pascoli, alcune informazioni sulla raccolta in cui è contenuta, testo e analisi della poesia.
La poetica di Giovanni Pascoli
La poetica di Giovanni Pascoli è indissociabile dallo sguardo “perpetuamente nuovo” del fanciullino capace di guardare alla vita con ingenuità primitiva.
Secondo Pascoli lo spirito del “fanciullino” è contenuto in ognuno di noi, risiede in quella facoltà di meravigliarsi di fronte alle piccole cose dell’esistenza che deriva dalla prima infanzia. Il poeta è in grado di ascoltare la voce di quel fanciullino nascosto e dialogare con lui, dando luogo così a un linguaggio poetico ricco che procede per analogie e somiglianze, descrivendo l’universo sensibile e percettivo attraverso accostamenti sorprendenti.
Giovanni Pascoli definirà la “poetica del fanciullino” con le parole che seguono:
Egli scopre nelle cose le somiglianze e relazioni più ingegnose, egli adatta il nome della cosa più grande alla più piccola, e al contrario.
Questa concezione sarà la chiave di volta di tutta la produzione artistico-letteraria pascoliana.
Myricae di Giovanni Pascoli
Nella raccolta più celebre delle poesie di Giovanni Pascoli Myricae (il cui nome prende origine da una frase citata nelle Bucoliche di Virgilio Ndr) ritroviamo una visione simbolica del mondo strutturata sulla base del dialogo dell’Io del poeta e la realtà naturale circostante.
La natura in Myricae appare carica di significati simbolici che si svelano all’occhio innocente del fanciullino ovvero colui che scopre, oltre la rete artefatta delle convenzioni sociali, la lingua originaria delle cose. L’analogia è una delle tecniche più utilizzate da Pascoli per mostrare il legame tra la realtà percettiva e una verità più profonda.
Recensione del libro
Myricae
di Giovanni Pascoli
Questo accostamento appare particolarmente evidente in una poesia inserita nella terza edizione della raccolta Myricae, dal titolo Gennaio (1894), meglio conosciuta come Nevicata.
Nel componimento, che sembra descrivere un tipico paesaggio invernale, Pascoli racchiude una profonda analisi sulla transitorietà dell’esistenza.
Gennaio di Giovanni Pascoli: testo
Nevica: l’aria brulica di bianco;
la terra è bianca, neve sopra neve;
gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco,
cade del bianco con un tonfo lieve.
E le ventate soffiano di schianto
e per le vie mulina la bufera;
passano bimbi; un balbettio di pianto;
passa una madre; passa una preghiera!
Gennaio di Giovanni Pascoli: analisi e commento
Nel componimento, strutturato in due quartine di endecasillabi a rima alternata, Pascoli sembra comporre una suggestiva descrizione del paesaggio invernale. Il mese di gennaio è connotato da un’atmosfera di gelo: la neve scende dal cielo copiosa e avvolge ogni cosa.
Il colore bianco è dominante e pare dipingere tutta la realtà circostante nella quale tutto sembra immobile, tranne il vento che si muove agitato facendo gemere i rami degli olmi.
Nella prima parte della poesia ritroviamo lo sguardo del fanciullino pascoliano che descrive con acutezza il paesaggio invernale tramite una sintesi di elementi visivi e sonori. Il colore bianco e il gemito stanco del vento fanno da padroni fornendo il più compiuto ritratto di un giorno d’inverno in campagna.
I primi versi giocano sulla figura retorica dell’onomatopea che nell’insistita ripetizione dei suoni “v,s,f,g” rimanda al suono del vento e allo scricchiolio dei rami degli olmi.
Nella seconda parte del componimento tuttavia la descrizione del paesaggio lascia il posto a una riflessione più profonda. Il rumore del vento nel silenzio si confonde con i pianti e le preghiere umane.
A questo punto che si inserisce l’anafora “passa... e passa” e l’insistenza sul verbo “passare” che rimanda alla transitorietà della vita e alla brevità del passaggio umano sulla terra. Prima i bimbi e poi una madre - che è contraddistinta dall’articolo indeterminativo e quindi non è la madre dei bambini - passano attraverso la bufera riempiendo il paesaggio di pianti e preghiere.
Il passaggio delle figure umane attraverso la furia del vento invernale sembrerebbe una metafora del transito dell’uomo attraverso l’esistenza sino ad arrivare all’epilogo inevitabile della morte, cui rimandano per l’appunto i pianti e le preghiere.
Il colore bianco dunque non rimanda più al candore della neve che cade, ma all’annullamento che comporta la fine dell’esistenza.
La poesia di Pascoli si serve quindi del mese di gennaio, il momento in cui l’inverno si rivela nella sua rigidità più feroce, per rappresentare la caducità dell’esistenza umana e quindi la morte che trova nell’inverno, dunque nella decadenza del paesaggio naturale, la propria stagione emblematica.
Da Gennaio di Giovanni Pascoli a Inverno di Fabrizio De André
La visione invernale del poeta si potrebbe accostare, in un’ottica più contemporanea, a una canzone di Fabrizio di André intitolata Inverno, contenuta nell’album del 1968 Tutti morimmo a stento.
Ma tu che vai/ma tu rimani canta De André mostrando il procedere dell’umanità in un paesaggio invernale caratterizzato da un’atmosfera cupa e cimiteriale. Nella sua canzone, tuttavia, De André fa riferimento all’attesa di “un’altra estate” che sembra lasciare aperto uno spiraglio consolatorio nel quale si può intravedere una speranza di rinascita.
La poesia di Pascoli e la canzone di De André sembrano interrogarsi sulla stessa domanda metafisica suggerita dalla stagione invernale: qual è il significato della passaggio dell’uomo sulla terra?
Né il poeta né il cantautore ci forniscono risposte, tuttavia compongono - ciascuno a proprio modo - una visione cristallina dominata dal colore bianco, simbolo di purezza incontaminata, che sembra farsi emblema di una pace interiore.
Gennaio di Pascoli si conclude inoltre con il termine preghiera, mentre la canzone di De André sembra alludere all’esistenza di un mondo ultraterreno attraverso la figura enigmatica del campanile che non sembra vero e segna il confine tra la terra e il cielo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Gennaio di Giovanni Pascoli: una riflessione sulla caducità della vita
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