Il testamento Donadieu
- Autore: Georges Simenon
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
“Il testamento Donadieu” (Adelphi, 1988, titolo originale Le testament Donadieu, traduzione di Paola Zallio Messori) fu redatto dall’autore belga Georges Simenon (Liegi 1903-Losanna 1989) tra luglio e agosto del 1936 presso la villa “La Tamaris” di Porquerolles e pubblicato da Gallimard nel marzo 1937. Il romanzo uscito poi a puntate su Les feuillets bleus, dal 1° al 22 aprile 1939, venne edito in Italia nel 1940 da Mondadori, tradotto da Alfredo Segre.
“Ho pensato che forse era ancora possibile, nel luglio 1936, scrivere la storia dei Donadieu”
riporta il prolifico scrittore all’inizio del testo dedicato
“Al professor Lucien Pautrier con grande affetto”
qui accompagnato dalla raffinata copertina che raffigura un dipinto di Pierre Bonnard Portrait des frères Bernheim (1920), conservato presso il Musée d’Orsay a Parigi.
Quando Georges Simenon concepì la storia del clan dei Donadieu, ambientata tra La Rochelle e la capitale francese, era già un autore di successo, letto da personaggi del calibro di André Gide, il quale proprio in quel periodo scrisse che “scoprire Simenon era un piacere”. Questa volta Simenon mette in scena quella “Commedia umana” (“La Comédie humaine”) di balzachiana memoria rielaborandola con il suo stile secco, preciso, lineare, fatto di pochissimi aggettivi per esaltare uno stato d’animo, descrivere un luogo, ironizzare su un personaggio, far crollare lentamente e inesorabilmente una grande famiglia. Se Honoré de Balzac viene scelto da Georges Simenon, il risultato non può che essere “magnifique”.
Negli anni Trenta del XX Secolo a La Rochelle, importante porto nella regione di Poitou-Charentes affacciato sull’oceano Atlantico, le sere erano sempre le stesse, come quel mercoledì dal sapore autunnale. Tutto era un rito, tutto scorreva tranquillo, secondo leggi rassicuranti. Forse l’unica novità era data dal fatto che faceva fresco, perché quell’anno “l’estate non si era vista, per così dire”. Infatti, in quella notte di fine settembre sembrava di essere in inverno inoltrato, con un cielo troppo chiaro, sparso di pallide stelle, solcato da nubi basse e veloci. Due indizi attestavano che si era a La Rochelle e non altrove. All’angolo di Rue de Palais i passanti levavano il capo con gesto rituale verso la Torre dell’orologio per leggere l’ora. L’altro indizio era dato da quel rumoreggiare sordo dietro le case, accompagnato dallo stridio acuto delle pulegge delle barche da pesca. Tutti sapevano che le acque del porto, gonfiate da una marea equinoziale, raggiungevano il livello delle banchine, così i battelli parevano sorgere direttamente dal selciato. Il giovane Philippe Dargens, figlio del padrone del cinema Alhambra, si era introdotto furtivamente all’interno di uno dei giardini delle case di Rue Reaumur, dimore di gente facoltosa. Philippe era passato accanto a sedie di ferro, a un tavolo da giardino, accostandosi a una finestra dove si vedeva un riflesso guizzare sul vetro.
“Non un lume in tutta la casa”.
La finestra si era aperta e Philippe, poggiando il piede su una sporgenza di pietra, il ginocchio sul davanzale della finestra, si era trovato all’interno. Martine com’era di consuetudine lo aspettava ma questa volta le labbra della ragazza non erano arrendevoli come il solito. Nell’oscurità il volto bianchissimo e gli occhi febbricitanti della giovane avevano fatto intuire a Dargens che stava accadendo qualcosa d’insolito. C’era un che di drammatico nel modo di fare di Martine e l’angoscia cresceva in quella casa, occupata dai Donadieu, vecchi e giovani, fratelli, figli (Martine era la più giovane delle figlie, aveva appena diciassette anni), e nuore che ora dormivano. Dallo scorso sabato, l’Armatore Oscar Donadieu, il pater familias, era scomparso di punto in bianco e nessuno aveva avuto più notizie di lui. Per la prima volta da tempo immemorabile i Donadieu, usciti la domenica successiva dal loro palazzo in Rue Reaumur, si erano diretti in chiesa senza il capotribù
“e lungo il marciapiede si veniva formando una sorta di processione dove l’unico assente era il buon Dio”.
Dopo la funzione religiosa si era vista uscire la grande automobile blu, una limousine, sulla quale si era accomodato il primogenito Michel Donadieu, dietro l’autista. La gente già commentava che mai i Donadieu, la cui roccaforte sorgeva sul Quai Vallin, di fronte al porto, un edificio austero di quattro piani, il centro del potere del clan, si erano messi in mostra con un gesto imprevisto. I loro movimenti erano predisposti in modo così rigido che avrebbero potuto scandire la vita di La Rochelle con la stessa precisione delle lancette del grande orologio della Torre. Quindi,
“non mi stupirebbe fosse accaduta una disgrazia...”.
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