Aceto, Arcobaleno
- Autore: Erri De Luca
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Feltrinelli
Pubblicato con Feltrinelli nel 1992 e vincitore del premio “France Culture” nel 1994, “Aceto Arcobaleno” riflette l’Erri De Luca degli esordi, ben diverso dal più recente “I pesci non chiudono gli occhi” (Feltrinelli, 2011).
Il romanzo racchiude tre diverse vicende che assomigliano più a sfoghi e a confessioni frammentarie che a episodi ben articolati. Tali vicende sono ambientate in un passato non ben definito e senza un preciso ordine cronologico. Esse vengono ricordate e riportate alla luce dalla mente dell’io narrante, un uomo anziano che, seduto su una sedia a dondolo, aspetta la fine dei suoi giorni nella sua casa, teatro e crocevia delle visite passate dei protagonisti di quelle storie.
De Luca apre la sua prima inquadratura sulla casa spoglia, tempestata da fulmini, in procinto di crollare e, come una telecamera che restringe sempre di più il proprio campo visivo, l’io narrante vede prima se stesso, raggomitolato, all’interno di quel casolare di campagna: in quel momento l’anziano ripensa alla sua infanzia gracile e apatica, ai margini dei suoi coetanei. I ricordi, un tempo confusi ed ora nitidi, si sovrappongono alle riflessioni dell’anziano; i dialoghi passati riecheggiano nel vento inquieto che ulula e geme nelle stanze vuote:
“Non fui capace di conservare a mente le visite degli amici, perdevo lo scompiglio e la memoria dopo la partenza. Ma ora gira nelle stanze il fiato di quegli incontri, nel baccano delle cose strapazzate dai fulmini salgono quelle voci”.
Si prosegue, successivamente, con i tre diversi racconti, senza percepire tuttavia una vera e propria frattura tra le pagine e nella voce dell’io narrante. Il tutto si sussegue in modo un po’ confusionario.
La prima vicenda ha come protagonista un muratore/operaio che confida all’amico, quasi come si trattassero di episodi dovuti e occorsi, di aver ucciso alcuni uomini durante il suo passato burrascoso e violento:
“Mi sento dentro il nome di assassino, ma non perché in tutta la mia vita ci siano stati minuti che lo abbiano definito. Sono assassino perché sotto la vita, sotto la corteccia di un essere umano c’è un occhio segreto. Io sono stato visto da quell’occhio e messo a nudo”.
La seconda storia narra la vita di un amico missionario, partito per l’Africa:
“Mi sentii chiamato, ma chiamato fuori. Ero in coda ad una lista di persone cui fu chiesto di dimettersi dalla carica di individui per diventare un riassunto di tutti”.
Infine, il terzo racconto fa rivivere le vicende di un vecchio compagno di scuola e di scorribande estive che decide di trascorrere la propria vita vagabondando per il mondo.
Alla fine tutto cessa:
“Le visite, le vite si dileguano, la casa cede, nessun racconto la sorregge più”.
I temi della violenza, dell’emarginazione (per scelta o per imposizione) e della nostalgia di un’infanzia che non tornerà più sono comuni alle tre vicende narrate.
Lo stile è quello inimitabile dello scrittore napoletano: lessico asciutto, secco e persino aspro; la sintassi è concisa ma allo stesso tempo estremamente ricercata proprio nella sua essenzialità; i dialoghi riportati dall’io narrante sono spesso sovrapposti alle confidenze dei protagonisti, talvolta senza la consona punteggiatura di riferimento.
Al lettore è lasciato il compito di immergersi in queste tre vicende e di immaginare il non scritto. Compito che risulta tutt’altro che facile, a dire il vero.
Aceto, arcobaleno
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