Baumgartner
- Autore: Paul Auster
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2023
Baumgartner – l’ultimo libro di Paul Auster, uscito il 21 novembre u.s., ediz. Einaudi nella traduzione di Cristina Mennella - è un memoir sotto mentite spoglie: non nel senso che i piani narrativi del racconto sono isomorfi con la vita dell’autore ma nel significato, in letteratura più pregnante, che il simbolo che viene rappresentato è lo stesso: l’epifania della morte.
Abbiamo a che fare con un uomo all’incirca settantenne (Baumgartner), che assomiglia molto ad Auster, praticante il mestiere della parola (insegna filosofia a Princeton e scrive libri), con una vita molto colorata – il successo professionale e l’amore di Anna, la moglie traduttrice e, soprattutto, poetessa – finché in un incidente di mare perde la possibilità di guardare il mondo e soprattutto la capacità di valutare la rilevanza delle cose: l’amata consorte muore e getta l’ombra dell’assenza sulla sua vita.
Chiude gli occhi, e per un minuto o due i suoi pensieri continuano a vagare da un oggetto all’altro, ma poco dopo gli oggetti non ci sono più e ai pensieri subentrano una serie di immagini oniriche, soprattutto Anna da giovane, e la vede di volta in volta che gli sorride o lo guarda con disapprovazione o volteggia per una stanza da qualche parte o siede su una sedia da qualche parte o si solleva sulle punte dei piedi e tende le braccia al soffitto.
Nella prima parte del libro vediamo Baumgartner, dopo dieci anni dalla morte della moglie, che lavora a un volume su Kierkegaard, mentre tesse una rete di conoscenze - nella quale lui è il soggetto agente, il cui immaginario costruisce la relazione, mentre l’oggetto è la sua solitudine - il tutto per esorcizzare l’assenza di Anna e la paura della morte.
Soprattutto, stante che non ha avuto figli, s’intuisce il desidero del protagonista di essere padre: un rapporto di paternità con la figlia della colf, consolata al telefono dopo un incidente domestico del padre e con il gentile giovanotto dell’azienda di servizi, che gli piomba in casa per la lettura del contatore e che lo cura dopo una caduta dalle scale della cantina.
E poi le donne, materne come Demetra e sensuali come Afrodite, fatte della retta dei sentimenti e della curva delle forme: Molly, che gli consegna plichi su plichi di libri che mai leggerà e che lui ordina solo per vederla caracollare nel suo tinello con le braccia a contrastare sotto i seni tamburellanti i pacchi – ma perché da Joyce in poi l’archetipo letterario della burrosità femminile si chiama sempre Molly? – e, soprattutto, Judith, separata e amica di Anna, con la quale il protagonista ha una relazione che vorrebbe trasformare in un matrimonio, ma Judith ha altri scopi, per lei l’attempato professore è solo una trasversa nello stradone della vita: lo lascia, senza drammi per nessuno, per un suo più giovane coetaneo.
Nei casi di amputazione permanente quasi tutte le persone che perdono un braccio o una gamba continuano ad avere per anni la sensazione che l’arto mancante sia attaccato al corpo, spesso associato a dolore acuto, prurito, contrazioni involontarie (…) è l’immagine che Baumgartner andava cercando fin dalla morte repentina e inattesa di Anna dieci anni fa, l’analogia più convincente ed efficace per descrivere cosa gli è successo da quel pomeriggio caldo e ventoso dell’agosto 2008…
Baumgartner non è né felice né infelice, è quello che Broch definirebbe un “sonnambulo”: un uomo che non è ben consapevole di cosa stia accadendo, che è riuscito ad autoestirpare la facoltà di soffrire, con questo trasformando l’esistere in vegetare; ma la sua psiche non è ancora sconfitta: Anna compare al suo inconscio e gli raccomanda di lasciarla andare, di accettare la separazione, di lasciare “che i morti seppelliscano i loro morti”, nel senso di Matteo, ovvero consentire che siano solo quelli che ancora non sono nati a vita nuova - contrapposti ai vivi, a coloro che invece sono rinati in Cristo – di serbare il passato, di non riuscire a guardare avanti perché gravati dal trascorso.
La letteratura, la mitologia, la religione, sono pregne di episodi che mettono in guardia dal volgere indietro lo sguardo, cioè da farsi schiacciare dal passato; si pensi alla moglie di Lot, trasformata in una statua di sale dal suo sguardo retrospettivo, nell’episodio biblico di “Sodoma e Gomorra” (Genesi, 19), oppure il tenerissimo episodio di Orfeo e Euridice: il volgersi condannò quest’ultima a ripiombare negli inferi.
Nietzsche spiega il significato recondito di questi episodi, con la saturazione di storia di cui siamo affetti (“Le considerazioni inattuali”): vi sarebbe un eccesso di senso storico, dovuto sia alla teofania dell’idealismo hegeliano, sia alla razionalizzazione del trascorso dovuta allo storicismo neopositivista.
Dobbiamo presumere che Baumgartner, che insegna filosofia, riesca a costruire la catena deduttiva che porta alla conclusione di accettare il lutto e tornare a vivere; l’occasione gli è offerta dalla conoscenza di una giovane, presentatagli da un suo vecchio amico, che lo contatta per avere del materiale per fare una tesi sulle opere di Anna che in massima parte non sono state pubblicate e sono conservate nell’abitazione del protagonista.
Qui si presenta il secondo punto topico dell’opera: la vita eterna, simbolica, garantita allo scrittore dalla permanenza delle sue opere anche “dopo”: finché si leggeranno le parole di Anna, lei sarà “viva”:
Settanta o ottanta di quelle poesie andrebbero messe subito in circolazione, se non tutte e centoventotto, e un domani, chissà quando, ma un domani tra qualche anno, si potrebbero riunione i due libri e trasformarli in un grande volume unico – un monumento di pagine che cantano, in grado di sconfiggere il silenzio sulla tomba di Anna.
Nel finale viene ricreata un’uscita dalla storia con l’accesso a una sua permutazione - molto in linea con opere precedenti di Auster – nella quale l’ultimo crocevia è quello finale della morte:
E così, con il vento in faccia e il sangue che ancora gli sgocciola dalla fonte, il nostro eroe parte in cerca di aiuto, e quando arriva alla prima casa e bussa alla porta, si apre il capitolo finale della saga di S.T. Baumgartner.
La struttura del libro è molto lineare, completamente diversa da quelle dei precedenti che, spesso, erano costruiti in uno spazio probabilistico, una sorta di realtà stocastica à la Borges: si pensi a Trilogia di New York (1985) e soprattutto a 4321 (2019), un vero romanzo-mondo. Baumgartner rappresenta, invece, la banalità della vita ritratta nei suoi aspetti essenziali, nelle molecole del nostro quotidiano, disunite e insignificanti per tutti salvo che per noi: la linearità dei piani narrativi richiedeva quella del linguaggio, anch’esso privo di particolare colore e nel quale l’utilizzo del presente alla terza persona dà la sensazione dell’oggettività del narrante.
Il romanzo è stato scritto durante un delicato ricovero ospedaliero dell’autore che ha dichiarato che questo potrebbe essere il suo ultimo libro, per cui non si fatica a comprendere che il convitato, neppure tanto di pietra, sia la morte o, forse, l’attesa della sua epifania, che tutti i lettori di Auster si augurano non sia breve.
Baumgartner
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Un libro perfetto per...
Un lettore che già conosca i lavori di Auster e abbia in mente di confrontarsi con le domande chiave della vita e con l’assenza della persona amata.
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Baumgartner
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