Cavie
- Autore: Chuck Palahniuk
- Casa editrice: Mondadori
La missione di Palahniuk è fare a pezzi il genere umano, impietosamente, e ci riesce con un libro disgustoso, stomachevole e orrendo, capace di dare il vomito persino agli spettatori più cinici. Cavie è un libro doloroso ma semplicemente bellissimo, che mette in scena la truce, triste e stanca fiera delle mostruosità prodotta dall’animale uomo. Ma Palahniuk fa anche di più, com’è solito fare: Cavie è un romanzo che dimostra come persino un programma Tv, del tutto inutile, qual è il Grande Fratello, potrebbe diventare interessante, se solo i coinquilini della casa si cannibalizzassero fra loro.
Andiamo al discorso tecnico: Palahniuk usa la struttura scelta da tantissimi prima di lui e da tantissimi in futuro, vale a dire riunire un certo gruppo di protagonisti e lasciare che, a turno, raccontino la propria storia personale. Presi singolarmente, i singoli racconti sono impressionanti per lucidità delle descrizioni, per la facilità con cui vengono dipinti i personaggi e per l’efficacia nell’andare dritti all’animo del lettore. Palahniuk non si dimentica di demolire la società americana (e la società in genere) con tutti i suoi finti valori, trattando argomenti comuni nella sua narrativa: il mito della bellezza e dell’immagine, quello della ricchezza e quello di un buon lavoro, tutto ciò che ci hanno insegnato a desiderare per cultura, quindi, e che nella vita di tutti i giorni sogniamo in modo normalissimo. Basta leggere uno qualsiasi di questi racconti per rendersi conto che, se solo ci fermassimo un attimo tirandoci fuori dal mondo a cui siamo abituati, i nostri desideri normali apparirebbero per come sono realmente: pensieri maledettamente molesti e mediocri, e ce ne accorgeremmo subito se solo riuscissimo a guardare con maggiore attenzione, liberandoci dal tipo di educazione che ci è stata data.
I prigionieri in casa di Palahniuk, questi perfetti esponenti di razza umana inutile, vivono come un organismo unico, si attaccano l’un l’altro e l’uno all’altro, si fanno del male calandosi nella parte più idonea per la trama del romanzo collettivo che vogliono scrivere: ogni vittima è, al contempo, un carnefice. Per quale ragione scelgono di restar chiusi dentro questa casa gigantesca che, non a caso, è piena di palcoscenici? Perché sono scrittori e creativi e, per ispirarsi, decidono di sospendere la sospensione della realtà.
Personalmente credo che i singoli racconti siano meglio del canovaccio generale, certi passaggi ho trovato che fossero un po’ sbrigativi e carne messa sul braciere dall’autore poteva essere cotta meglio (mi riferisco in particolare ad una certa scatola degli incubi che, ben trattata prima, d’un tratto sparisce di scena e, a seguire, non se ne hanno più tracce). Tuttavia, ciò che rimane della lettura può essere tranquillamente descritto con un unico aggettivo, che non mi stanco di ripetere: mostruoso.
Tutti gli estimatori dello scrittore di Pasco sanno che Palahniuk non scrive semplicemente libri ma, piuttosto, crea universi e collega l’impensabile, mettendo in piedi finali straordinari: anche Cavie non è da meno ma, al contrario di certi altri suoi splendidi lavori (Rabbia, ad esempio), ho trovato la conclusione meno inattaccabile dal punto di vista della validità della tesi. L’intero romanzo si risolve, pertanto, con un discorso quasi zen sulla reincarnazione, un po’ troppo fantasioso e meno caratterizzato rispetto al resto, sebbene mi sia piaciuto il suo messaggio: se potessimo vendere la morte meglio di com’è, la commercializzeremmo alla grande.
Nessuno può immaginarlo descritto allo stesso modo e nessuno avrebbe potuto scriverlo così, a parte il buon Chuck, ovviamente. Per questo continuo a ritenere Palahniuk un genio, oltre che il più grande autore di narrativa vivente.
Cavie
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