Diary
- Autore: Chuck Palahniuk
- Casa editrice: Mondadori
Chuck Palahniuk è un maniaco del dettaglio. Leggere un suo libro vuol dire farsi buttar dentro, a forza, in scenari e situazioni che s’imprimono al pubblico didatticamente. Uso non a caso “didatticamente”, perché incipit e descrizioni dell’autore andrebbero studiati nelle scuole di scrittura.
Diary non fa eccezione.
Raccontato in forma di diario, leggera variante rispetto alla prima persona tipica di Palahniuk, il romanzo ha per protagonista la sciatta e grassa Misty Kleinman, regina degli schiavi, artista, figlia, madre e moglie fallita.
Non è una novità l’assoluta mancanza di misericordia con cui Palahniuk fa a pezzi i personaggi delle sue storie. Non è una novità il fatto che, spesso, la prima parte dei suoi testi siano solo una scusa, una giustificazione per andare a parare da tutt’altra parte. Non è una novità che la sua tecnica di costruzione narrativa usi gli argomenti più disparati per assemblare, riga dopo riga, opere d’una ferocia quasi insopportabile. È quasi una novità che la protagonista sia una donna (prima che in Diary, lo era stata soltanto in Invisible Monsters) e per questa donna, la povera piccola Misty Kleinman, si prova tenerezza da subito, sin dalle prime pagine di questo suo diario/confessione.
Giorno dopo giorno, il racconto del tentato suicidio del marito Peter serve per conoscere Misty, cameriera che tira a campare pur di mantenere la figlia, pur di conservare la casa, pur di non strozzare la suocera.
Misty Kleinman, regina degli schiavi della piccola Waytansea Island, fa lo slalom in mezzo ai tavoli perennemente occupati da turisti curiosi, tra villeggianti mai sazi dei piatti tipici dell’isola, tra vacanzieri golosi dell’ambiente così caratteristicamente isolano, tra gitanti figli della farsa in cui la vita si trasforma quando il popolo dell’estate si riversa nelle case di paese trasformate d’improvviso in hotel, nei salotti di famiglia convertiti in ristoranti, nei bagni privati divenuti servizi pubblici.
Palahniuk prende tutto questo e l’ammolla nel vetriolo, con la stessa brutalità con cui un macellaio squarterebbe un maiale e, paradossalmente, con la stessa precisione d’un chirurgo dalle mani d’oro. Il suo non è un massacro quanto una vivisezione, perché ciò che le sue progressioni riportano agli occhi è indiscutibilmente vivo, pulsante e fin troppo rivoltante. Lo è nelle descrizioni che l’autore fa del povero Peter, marito di Misty, in coma irreversibile e pupazzo raggrinzito. Lo è nel modo di Palahniuk di pennellare le dinamiche tra i protagonisti, sempre irrimediabilmente soli.
In conclusione, come ogni altro libro di quest’alfiere della moderna letteratura americana, Diary è un capolavoro capace di mostrare grottesca sagacia nell’incedere e il genio nel finale.
Ma questo, come il resto, non è una novità.
Diary
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