Cere perse
- Autore: Gesualdo Bufalino
- Casa editrice: Sellerio
Riscopro in "Cere perse" (Palermo, Sellerio, “La diagonale”, 1985) il ritratto di un Gesualdo Bufalino che, voluttuosamente e amabilmente, ama raccontarsi. E mentre mi inoltro nel suo passo narrativo, persisto nel dire che è magnifica raccolta di saggi brevi, occasionali e in apparenza vagabondi. Elzeviri, che come in un romanzo autobiografico, testimoniano il suo modo di sentire e di essere. Risultano catalogati, secondo l’argomento, all’interno di cinque voci:
- “La parola ansiosa”;
- “Occasioni siciliane”;
- “Il lettore di ventura”;
- “Svaghi”;
- “Pot-Pourri” di memoria e morte
e le precedono una sorta di prefazione (“Reddo rationem”) in cui l’autore spiega con ironia il significato del titolo. Leggendoli, ci si rende conto che egli parla dello scrivere e del leggere, delle sue incursioni letterarie dalla forte impronta psicoanalitica con venature gnostiche e di ricordi quasi colloquiali da rendere pregnante la novità del discorso, dei sentimenti privati, del rapporto con il tempo e con la morte in una variegata costellazione di riflessioni che appassionano non solo per il personalissimo linguaggio che lo distingue, ma anche, e soprattutto oserei dire, per cogliere le sfumature della sua mente e del cuore.
Ciò che egli dice ne “Il viaggio dell’albatro zoppo”, può andar bene anche per il lettore che voglia farsi scopritore dell’animo umano:
“non solo i diari, ma mi piacciono gli epistolari. L’idea di poter fiutare, palpare, pedinare, origliare il “quotidiano” di un autore che amo, di riuscire a rubargli quel segmento irripetibile di spaziotempo che è il “dove” e il “quando” di una sua giornata, tutto questo mi dà al cuore una dilatazione trionfale …”.
Filo conduttore delle variegate tessere di questo mosaico appare, dunque, il libro, la cui essenza è quella di rispondere al bisogno di capire, di entrare in sintonia con sé e con l’altro da sé delle tante tessere di questo mosaico. Quale migliore metodica della lettura allo scopo di avvicinarsi, per quanto possibile, a tale lettura? E alla lettura lo scrittore di Comiso dedica in quasi tutte le sue opere pensieri davvero magmatici. In “Leggere, vizio punito”, tale pratica, terapeuticamente liberatoria, non è solamente da considerarsi una risorsa conoscitiva che fa prendere coscienza della zona più nascosta del proprio “io”. Essa è un cibarsi, al pari di Dracula, del sangue degli altri; un nutrirsi delle loro vite reali o irreali come in una pratica cannibalesca.
Lettura è anche “divertissement” nel senso più creativo. In quest’ottica, Gesualdo Bufalino riabilita la funzione letteraria del ”giallo”. Rispetto al senso di confusione prodotta dalle notizie giornalistiche, i cui titoli suscitano disagi, e anche rispetto ai libri di Montaigne e Pascal che si era portato appresso per un viaggio in treno, la sua decisione è determinata: egli decide alla stazione ferroviaria di acquistare un “romanzo giallo”. E ci affascina quanto, a lettura conclusa. In ogni libro poliziesco, come nella vita, si fronteggiano e si sfidano il buio e la luce. Si tratta così di far luce sul crimine commesso, svelando l’irrazionale che ha turbato il cosmo. Sta qui l’essenza del romanzo di “detection”, magari parteggiando, se si vuole, a favore o contro il “detective”. E’ a questo punto che la pagina incanta e trascina nello scorrere del godimento fino a quando il lettore s’imbatte nella spiegazione del termine “detective” come “scoperta”. Nell’enigma, dunque, la mente raziocinante. Così anche per lo scrivere:
“… un po’ cercarvi un ordine che c’inganni e ci salvi”.
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