La luce e il lutto
- Autore: Gesualdo Bufalino
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Sellerio
In nome di “Eros” la vicenda umana dovrebbe svolgersi quasi in un luogo edenico, ma quando “Thanatos” prende il sopravvento, la vita rivela sofferenze e si manifesta come un’inarrestabile corsa verso il nulla. Eros e Thanatos, dunque: voci consonanti e dissonanti entro le quali si scandiscono i ritmi vitali e che fanno pensare alla “luce” e al “lutto”. Antinomia, questa, da cui prende titolo il volume di Gesualdo Bufalino “La luce e il lutto” (Sellerio, Palermo, 1988). Lo scopo appare chiaro: quello di mostrare i nuclei costitutivi dell’identità della Sicilia in uno con le qualità positive e negative del siciliano.
Muovendo da una riflessione sulla storia dell’Isola fatta di impronte culturali contrastanti, che vanno dal razionalismo europeo al magismo africano, egli inizia un singolare viaggio invitando il lettore a parteciparvi:
“Salite a bordo di questa area triangolare di sasso che galleggia sulle onde dei millenni. E’ scampata a tante tempeste, sopravviverà ai missili … E mettetevi in tasca un vocabolario greco: potreste incontrare, emersa dalle acque e vogliosa di scambiare due chiacchiere, Afrodite Anadiomene…”.
Non è l’indagine storiografica a interessarlo quanto le sensazioni che egli intende suscitare. Si coglie subito una chiave di lettura composita e diversificata dell’Isola. Vi è, egli dice:
“la Sicilia verde del carrubo, quella bianca delle saline, quella gialla dello zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava”.
Se una sua fisionomia si mostra energica, attiva, estroversa, un’altra si presenta pressoché immobile nell’atavica condizione dell’isolamento. Il nostro scrittore ritrova, ad esempio, la semiologia del lutto nei riti della settimana santa in cui è dominante il senso del doloroso dell’intera comunità che solidarizza con “la donna orbata in cerca della sua creatura perduta”. La luce filtra invece nella realtà mitopoietica dell’Isola e nell’arte dei laboriosi artigiani, in particolare. Affiora poi la peculiarità della “Città teatro” che amalgama scena e mimo: la scenografia del barocco, entro la conformazione delle piazze e dei balconi, si sintonizza infatti con i caratteri variegati degli abitanti, pronti a manifestarsi nella liturgia del sacro e del profano. Il “tour” d’una Sicilia sconosciuta toglie il fiato e, sprofondando l’animo nello stupore, coniuga immaginazione e realtà. Il suo acme è a Siracusa: la città classica, dove è possibile assistere alle rappresentazioni delle tragedie di Euripide, di Eschilo, di Sofocle in un’atmosfera di catarsi che fa avvertire l’universalità del mito.
Anche la leggenda popolare attraversa la civiltà siciliana. Bufalino rivisita così quella di Colapesce, restituendo un ritratto raffinato del ragazzo mezzo uomo e mezzo pesce, spinto nel suo agire dall’eroismo amoroso.
“Viaggio con il padre sul carretto di notte” è, infine, un racconto evocativo di memorie dell’infanzia nello spazio magico del territorio ibleo; l’altra narrazione, che si intitola “Intervista a mia madre”, liberando lo sguardo in richiami d’assenze e di presenze, va visto come il punto d’arrivo, dolce e malinconico, del suo itinerario. Quale in sintesi la Sicilia di Bufalino? Egli scrive:
“evidentemente la nostra ragione non è quella di Cartesio, ma quella di Gorgia, di Empedocle, di Pirandello. Sempre in bilico fra mito e sofisma, tra calcolo e demenza; sempre pronta a ribaltarsi nel suo contrario, allo stesso modo di un’immagine che si rifletta rovesciata nell’ironia di uno specchio”.
La luce e il lutto
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