Ciak si uccide
- Autore: Emilio Martini
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Corbaccio
- Anno di pubblicazione: 2019
Un Martini per il commissario Bertè, non prima di una precisazione doverosa: per quanto amato dal soggetto in questione, non si tratta del cocktail internazionale: sei parti di gin, una di vermouth dry, servire ghiacciato, con una scorza di limone e se si vuole un’oliva annegata nel fondo della classica coppetta di vetro trasparente a V. Emilio Martini è l’autore delle inchieste del vice questore aggiunto Gigi Bertè, alle quali si aggiungono quelle in Ciak si uccide, ultimo nato della serie pubblicata da Corbaccio (luglio 2019, 240 pagine 14.90 euro).
Emilio Martini è in realtà, anzi sono, le sorelle Martignoni, Elena e Michela, milanesi che adorano la Liguria, scrivono romanzi storici (mitico il trittico sulla famiglia Borgia) e nella second life dietro uno pseudonimo maschile hanno dato vita al personaggio del dirigente di polizia più anticonformista ma positivo che c’è. È il protagonista - per citare gli altri gialli recensiti su Sololibri.net – di Invito a Capri con delitto e Il mistero della gazza ladra, dati alle stampe da Corbaccio rispettivamente e nel 2017 e 2016.
L’identikit di questo investigatore poche chiacchiere e distintivo è stato ricavato a quanto pare dal modello di un ottimo funzionario di PS in carne ed ossa. Per le Martignoni-Martini, il protagonista letterario è di origini calabresi, molto alto, chioma fuori ordinanza, capelli lunghi raccolti a coda dietro la testa, poco a suo agio con le bugie e decisamente irritato dalle ipocrisie. Gli piacciono i colleghi sinceri, tanto meglio se pieni di difetti. Il burbero carattere calabro lo porta a odiare il troppo perfetto: dalle siepi ordinate ai colleghi zelanti. È incapace di consolare il prossimo e propenso semmai a farlo incazzare. Ama il buon cibo e la sua compagna, Marzia, che dovrebbe dargli un piccolo Bertè e che ha conosciuto come padrona regolarmente sposata della pensione Aurora, a Lungariva, nel Tigullio, dov’è in servizio dopo l’esilio da Milano. Ha nostalgia della città della Madonnina (ma si può?, dopotutto vive nella Riviera Ligure) e nutre una giustificata idiosincrasia per il perbenismo. Guarda caso, in quella vita di provincia ne trova tanto sul quale affondare i canini. È pesante, ma solo fisicamente, perché non è affatto un musone sebbene il suo lavoro in mezzo ai disastri combinati da uomini e donne non gli consenta di sorridere troppo.
Nasconde uno scheletro nell’armadio, meglio, nel cassetto: scrive racconti surreali e aspira a diventare un autore famoso.
Il nuovo romanzo lo sorprende proprio a Milano, dov’è riuscito a portarsi per passare il Capodanno alla Meneghina con Marzia. Ma le brutte notizie per il commissario con la coda viaggiano via WhatsApp: rapina con morto in una villa di Lungariva, messaggio del collega Rigoni, essenziale e tuttavia fin troppo chiaro nel significato intrinseco. La vacanza di fine anno a Milano è bella che andata. Il questore lo vuole alla base.
I più ci penserebbero su, ma non devono fare i conti con la sua Coscienza Bastarda (la chiamano così le Martignoni, con le maiuscole). Feroce con gli altri e schietto con se stesso, non si consente nemmeno la minima perdita di tempo, figurarsi darsi per irreperibile, malato, magari morto e continuare le ferie.
Lascia Marzia ancora addormentata, sale sulla sua auto e con la velocità relativa che gli consente la quattro ruote a fine onorata carriera motoria, si dirige verso la Riviera, scontando rallentamenti, code e percorsi alternativi intasati dal traffico dopo il crollo del ponte Morandi a Genova. Raggiunta la Litoranea dovrebbe andare meglio, macchè, la strada, Rapallo e Portofino sono quasi demolite dai marosi di una burrasca.
Villa del primo ‘900, sopra una collina. Ad aspettarlo non c’è il sovrintendente Parodi, ma l’ispettore Francesca Belli, impeccabile nella divisa ben stirata, non badando al taglio psichedelico dei capelli, ma pallida e sul punto di scoppiare in un pianto, segno che all’interno la scena dev’essere da Apocalisse.
In quella bella casa di villeggiatura immersa nel verde, il cadavere della donna sembra terribilmente fuori posto, steso in terra, in posizione prona e contorta, sopra un lago di sangue ormai rappreso. La testa è poco lontano, gli occhi sbarrati, la bocca contratta. Un altro fendente ha lacerato la carne sulle sommità della schiena. Si direbbe sia stata sorpresa alle spalle e poi decapitata. Non con un colpo secco, ne sono stati necessari almeno tre.
Non mancano segni di furto, la borsa della donna è rovesciata, sono spariti i gioielli che doveva sfoggiare, visto l’abito elegante. Ma quale ladro uccide con tanta cura e quale ladro usa una spada giapponese, una katana? L’arma è poco distante dalla testa mozzata.
L’esperienza porta Bertè ad inquadrare subito la vittima e a collocarla sulla scena del delitto. Milanese, quarantatré anni, vedova, scrittrice, sceneggiatrice e regista. La villa era in prestito. Un ladro avrebbe prima tentato di sottrarle i gioielli e solo dopo l’avrebbe colpita, davanti a una reazione. È chiaro invece che il colpevole abbia per prima cosa ucciso e solo dopo prelevato oggetti e preziosi. Aveva approfittato della situazione, ma la sua priorità non era rubare. Sembrerebbe il comportamento di un professionista o il gesto di qualcuno che odiava tantissimo la vittima.
Le indagini conducono il vicequestore occhi neri e sfatti Bertè nel mondo del cinema e delle fiction, tra produttori e attori e attrici pronti a tanto se non a tutto.
Ciak: si uccide: Le indagini del commissario Berté
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