Danza delle ombre felici
- Autore: Alice Munro
- Genere: Raccolte di racconti
- Casa editrice: Einaudi
Danza delle ombre felici è la prima raccolta di racconti che Alice Munro pubblicò nel 1968 e già le valse un premio: il Governor General’s Award. Ora che Einaudi l’ha riproposta in Italia (il primo editore era stato La tartaruga), la fascetta “Nobel per la letteratura 2013” forse spingerà a superare quell’istintiva avversione che la parola “racconti” suscita qui da noi. Se vogliamo leggere una raccolta di racconti è il modo più prudente di avvicinarsi a un autore che non si è mai letto. Non costa molta fatica, perché, come in questo caso, una storia occupa una quindicina di pagine, in seguito alle quali si può decidere se costui merita ancora la nostra attenzione. Ma con la Munro, inevitabilmente, si finisce per abbassare la guardia e arrivare entusiasti alla fine, perché uno dietro l’altro i racconti scivolano via senza che ce ne si renda conto, si sgranano come piccole perle lisce e perfette.
Il filo che forse unisce alcuni racconti è l’esclusione. Le case bianchissime, Il giorno della farfalla, L’ora della morte, Domenica pomeriggio, Un viaggetto sulla costa, Danza delle ombre felici mettono in scena persone ai margini, donne ai margini, mentre sono altre donne, spesso, che le guardano e realizzano la terribile verità del loro essere escluse, più o meno apertamente invise alla società.
Tra gli altri, che sfuggono a una facile classificazione che non sia la comune ambientazione nella provincia canadese, quattro soprattutto restano impressi per le loro figure ben scolpite. Le protagoniste di Lo studio, Il rimedio, Cartolina e La pace di Utrecht sembrano per certi aspetti ritagliate dalle pagine di un romanzo ottocentesco. Come non pensare a Jane Austen di fronte al matrimonio fallito di Helen con un Clare MacQuarrie? E alle battaglie di Virginia Woolf che non hanno ancora vinto i sospetti della gente comune verso la donna scrittrice de Lo studio?
Quello che le colloca irrimediabilmente nell’epoca contemporanea è però il loro modo di reagire, come se non fosse più necessario autodeterminarsi continuamente per poter vivere. Queste donne non accettano di fare o di essere quello che ci si aspetta che siano, ma, a differenza di quelle degli altri racconti, stanno dentro la società e ci stanno bene erette, benché quella stessa società non le approvi completamente.
"Che cosa fu dunque a riportarmi con i piedi per terra? Fu la tangibilità atroce e ammaliante del mio disastro; fu vedere ’come andavano le cose’. Non che mi fosse piaciuto; ero timida e tutta quella risonanza mi fece soffrire molto. Ma il concatenarsi dei fatti di quel sabato sera mi affascinò; ebbi la sensazione di aver gettato un’occhiata sulla prodigiosa, devastante e spudorata assurdità con cui si improvvisano le trame della vita, a differenza di quelle dei romanzi. Non riuscivo a distogliere lo sguardo."
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