Fiabe, novelle e racconti del popolo siciliano. Volume 2
- Autore: Giuseppe Pitrè
- Categoria: Narrativa Italiana
Per ricchezza di fantasia esemplare è il "cuntu" che, rinvenibile nel secondo volume Fiabe Novelle e racconti del popolo siciliano, fu narrato da Agatuzza Messia, alla quale Giuseppe Pitrè dedica le pagine XVII-XX, delineando il suo aspetto con viva commozione:
… Tutt’altro che bella, essa ha parola facile, frase efficace, maniera attraente di raccontare, che ti fa indovinare della sua straordinaria memoria e dello ingegno che sortì da natura
.
Si intitola “Sfurtuna” e vi si parla di una ragazza che viene allontanata da casa, giacché in lei la sorte funesta si è incarnata. È un ortolano a proporre la soluzione delle sventure che hanno colpito il Re e la Regina, costretta ormai a trascorrere una vita misera. Queste le sue parole:
- Poveretta! ragione avete. Ma lo sapete il motivo perché tutte le cose vi vanno sottospra? In casa avete una figlia che è veramente sfortunata: e non potete vedere luce mentre l’avete in casa.
- E chi è questa sfortunata dei miei figli?
- Quella che dorme con le mani in croce...
Chiara l’allegoria che l’identifica con la morte: essere sfortunati ed essere morti si equivalgono. La sfortuna non è soltanto per lei, ma anche per coloro che stanno accanto alla ragazza. Lasciata la dimora familiare, di vicenda in vicenda le persecuzioni non le mancano. Decisivo l’incontro con un singolare personaggio femminile: la lavandaia Gnà Francisca, la quale l’accoglie e le dà l’incarico di sciacquare e stendere gli indumenti del “Riuzzu” (il principino). La soddisfazione di questi per l’ottimo bucato è tale che ripaga la Gnà Francisca più del solito. L’intervento che consente alla ragazza di incontrare la sua “sorte” può realizzarsi grazie alle disposizioni datele dalla Gnà Francisca:
Con questi due “cucciddati” (particolari forme di pane), vattene a riva di mare; chiama la mia Sorte: “Ah! Sorte della Gnà Francesca” per tre volte. Alla terza volta lei s’affaccia, le dai un cucciddatu e me la saluti. Poi ti fai insegnare dove sta la tua Sorte, e lei te lo insegna.
La rappresentazione della Sorte della ragazza è a fosche tinte:
Sfortuna va, e va al forno, trova questa vecchia, e anche si disgusta a vederla quant’era sporca, puzzolente, crisposa e smagarata.
Le vuole offrire del pane, ma la sorte rifiuta:
“Vattene, vattene! Che non voglio pane” le dice la vecchia, e si volta la faccia Sfortuna le posa il cucciddatu, e se ne va....
A seguito di episodi che la fanno incontrare con il figlio del Re, l’epilogo è a lieto fine. I due si sposano e avviene anche la riconciliazione con la madre regina di Sfortuna. La novellatrice, che mostra una finezza psicologica, introduce così la scena finale:
Lasciamo il principino bello contento e prendiamo la madre di Sfortuna. Dopo la partenza di questa figlia, la ruota le votò a favore fino a una volta che venne il fratello e i nipoti con una potente armata e le hanno riconquistato il regno. La Regina con i suoi figli andarono a dimorare nel palazzo antico e lì stavano con tutte le belle comodità, ma sempre con la pena di Sfortuna, perché non sapevano più né nuova né vecchia. Cerca di qua, dai la voce di là, alla fine l’uno dell’altro seppero dov’erano.
Potrebbe questa favola considerarsi una variante di quella del Basile, intitolata a “Sciorta”? Chissà. Un fatto è certo: vi è una sorprendente analogia. Al pari di Sfortuna, un uomo del tutto sfortunato, va alla ricerca della sua “Sorte” e giunge lungo il fiume dove si trovano le Sorti: la sua è la più brutta, la più sporca e isolata. Pazientemente le si accosta, ha cura di lei, ripulendola, pettinandola e rivestendola a nuovo. Tornato a casa, si sente liberato da ogni persecuzione. Notevoli gli aspetti psicologici: occorre mettersi in cammino, cercare e visualizzare il proprio nemico psichico per scavalcarlo. Puntuale il commento di Adalinda Gasparini:
Essere perseguitati dalla propria cattiva Sorte è reso alla lettera nella vicenda di Sfortuna, quando la sua Sorte va a tagliare l’oro sul telaio delle sue prime ospiti e a dare la stura al vino quando ha trovato rifugio nella bottega. La sorte si trova su un fiume, un lago, o in riva al mare: elemento fluido, femminile, originario, materno, àporos, senza tracce. L’atto del lavare, per il quale la Gnà Francisca potrebbe essere una versione popolare delle antiche sacerdotesse, o di una dea delle acque, rappresenta, come la purificazione dei riti iniziatici, il beneficio che il soggetto può ottenere nella fluidità, nell’affidarsi a qualcuno che soccorre e guida, quando comprende che da soli non si può, né mai si è potuto, venire a capo della propria condizione tragica (su google, “Psicoanalisi e favole”.
In definitiva, nella mentalità contadina ciascuno ha la propria “Sorte” che governa le alterne vicende della fortuna e della sfortuna: viene sempre il momento risolutivo del risarcimento; la visione della vita, oltre ad essere fatalistica, tutto sommato è ottimistica.
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