I cavalieri che non fecero l’impresa
- Autore: Fabio Izzo
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2016
Hildebrando Aristolakis è il protagonista de “I cavalieri che non fecero l’impresa” (Terra d’ulivi, 2016), il nuovo libro di Fabio Izzo, il cui precedente romanzo “To jest” è stato presentato al Premio Strega nel 2014. Gli Aristolakis, singolare cognome, sono, come racconta l’autore, famiglia, anzi casata vincolata alla storia del Monferrato, quel territorio stretto fra le colline, ricco di personaggi illustri che tanto lo hanno amato o che lì sono nati
“Terra di confine. Tradita, tradita su ogni fronte. Abbandonata. Profanata. Seducente nella sua dissimulazione di bellezza”
quella terra ove pare non succeda nulla ma, invece tanto è successo, quel luogo ’sì caro al primo Nobel italiano della Letteratura, Giosuè Carducci, alla scrittrice Sibilla Aleramo che trasse il suo pseudonimo da "Piemonte", poesia del Carducci stesso, a Raffaele Ottolenghi, nato ad Acqui Terme, città di Fabio Izzo, e, all’inizio del secolo scorso, brillante diplomatico all’estero prima, poi socialista, collaboratore di quotidiani, sempre con la mente volta a ideali democratici ed egualitari di giustizia e fratellanza universale. Quel luogo ove riposa Luigi Tenco, vittima d’un banale Festival della canzone ma anche terra di provenienza della Divisione Acqui, caduta nell’eccidio di Cefalonia ad opera dell’esercito tedesco. Quella zona di cui nonno Aristolakis prega il nipote, poco prima di morire, di dar testimonianza, di far sì che il ricordo sia vivo attraverso ciò che Hildebrando ama, la scrittura, perché senza ciò che vien scritto non si può render merito a tanto passato, tutto andrebbe perduto e i protagonisti di così tante vicende rimarrebbero solo “cavalieri che non fecero l’impresa”.
Il seguito è una ballata, una rivisitazione di gesta epiche, scritta, però, non in versi e raccontata in chiave moderna; è la storia d’un ragazzo come tanti che fatica a farsi strada anche perché non s’adatta a svariate occupazioni: quel che vuol fare è scrivere e raccontare attraverso i fumetti. Le chiamano graphic novel oggi, ma è più chiaro definirle romanzi grafici, storie espresse, narrate attraverso parole e immagini non banali, non comuni. A un’attività come questa si giunge attraverso un percorso esistenziale, attraverso molti sbagli e poi qualche sprazzo di fortuna. Unico dono che Hildebrando riceve dal nonno prima di morire è la bustina di un antidolorifico. Pare non abbia senso, ma in realtà è un vero simbolo metaforico: come i Magi portarono al Bambino a Betlemme, tra i doni, l’amarissima mirra, simbolo delle sofferenze della vita, così l’anziano Aristolakis dà al nipote quella medicina quasi a ricordargli e forse a preservarlo dai dolori che la vita riserba, ancor più ad un artista.
Così Hildebrando, alla ricerca d’un futuro migliore, si divide tra la sua Acqui Terme e l’altrettanto cara Genova, la città degli studi, quella che s’ama da dietro le finestre, quella in cui il protagonista spesso ritorna, ricorda e ove fa nuovi incontri. Nel progredire delle vicende c’è il processo creativo di Hildebrando, fulcro della storia stessa. E’ attorno ad esso che ruota l’intera narrazione in cui compaiono più personaggi, ognuno con un proprio ruolo. S’intrecciano nella vicenda, come già detto, luoghi cari a Hildebrando ma anche all’autore che non si stacca, neppure in questo romanzo, dalla sua Polonia, fulcro delle sue ricerche e dei suoi studi.
Nascono così nuove storie e nuovi personaggi, l’uno unito all’altro, quasi in struttura a scatole cinesi, ovvero una “narrazione dentro la narrazione”.
Sbocciano così vicende che toccano tematiche importanti:
- l’arte con l’ammirazione di capolavori della pittura;
- la guerra con la creazione di una graphic che è la storia d’un soldato americano di colore, Moonlight Boone che, aiutato da un ragazzino, si erge contro i tedeschi armato della sua sola tromba. Una lotta impari parrebbe, eppure, quella notte in Abruzzo, una figura nera si frappone tra i tedeschi e il futuro creando una confusione enorme tra truppe preparate ad ogni attacco ma non a quello d’una melodia la cui provenienza è sconosciuta;
- l’amore con i battiti e gli affanni del protagonista stesso ma anche un riferimento più profondo, quello di “Chiedi alla polvere” di John Fante, una storia universale di tanti perché parla di sogni e disperazioni dell’uomo.
Nelle scatole cinesi stanno anche i fumetti di Jack Kirby con il suo Capitan America e l’amore per il calcio, descritto nella mitica figura del giocatore polacco Kazimierz Deyna, morto in tragico, banale incidente stradale.
In questo modo si dipanano le vicende che mano a mano si procede nella lettura si fan più chiare, ma che lasciano un finale aperto perché così è ogni esistenza, fino all’ultimo respiro. Ma la vita è anche fatta di attese, di tentativi e poi qualcosa avviene anche se la magia ha un tempo scollegato a quello della realtà.
Qui si chiude il romanzo che lascia però spazio all’immaginazione d’ogni lettore e, tra un racconto e l’altro, a riflessioni sul significato del vivere, sugli scopi che ognuno si prefigge e sui più alti valori, l’amore innanzitutto, non solo quello per la persona amata, ma per le proprie origini, per le passioni, la cultura, insomma per la vita.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: I cavalieri che non fecero l’impresa
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