Il guerriero del mare
- Autore: Giulio Castelli
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2017
Conoscevamo Giulio Castelli come narratore appassionato di vicende del tardo medioevo e della Roma imperiale. Questa volta il giornalista e scrittore romano, classe 1938, si è spinto più indietro nell’ambientare il nuovo romanzo storico, “Il guerriero del mare”, in diffusione da settembre nel generoso formato della Nuova Narrativa Newton Compton (pp. 373, euro 7,43 copertina rigida, euro 4,99 versione ebook), esemplare n. 800 della ricca collana della casa editrice romana.
Quando Gaio Lutazio Catulo sbarca a Cartagine, mancano poco meno di tre secoli alla nascita di Cristo. Il giovanissimo romano ha poco più di dieci anni. Figlio di un patrizio non ricco e di una plebea di buona famiglia, è stato catturato dai pirati mentre navigava col precettore verso Neapolis, dove doveva ritirare le ceneri del padre, Silio, eroicamente caduto nella battaglia di Heraclea contro i Tarantini e il re dell’Epiro.
Per la benevolenza del capo dei pirati, Bogone, Gaio è portato a Cartagine e affidato senza riscatto alla comunità punica, non ancora nemica di Roma. Ha la fortuna, rara per un romano di quei tempi, di ammirare la grandezza di Cartagine, capitale della potenza mediterranea che al momento non è mai stata in conflitto con la futura avversaria. La città si affaccia sul mare per dieci miglia, con mura che la circondano per oltre venti. La prima impressione è di sgomento e meraviglia. L’Urbe sui sette colli contava almeno trecentomila abitanti, ma era certamente più piccola e le sue difese più modeste.
Sono mesi felici quelli che il ragazzo romano trascorre a Cartagine, ospite ben accetto a casa degli Ittibaldi. Li trascorre in compagnia del coetaneo Amilcare, figlio del capofamiglia, Annibale.
Viene il momento di tornare a casa, al seguito dell’ambasceria cartaginese inviata a Roma a proporre un’alleanza contro il sovrano epirota e Taranto. Lasciando il porto della metropoli punica, il giovane può ammirare parte dell’imponente forza navale. Decine e decine di potenti triremi. Ne conta ben centoventi la flotta dell’ammiraglio (stratego) Magone, con equipaggi di ogni nazionalità.
Al confronto i Romani possono opporre poco e quel poco difetta di perizia nautica. È quello che Gaio Lutazio spiega all’anziano Appio Claudio Cieco, pater della gens Claudia, la famiglia più nobile e influente della Repubblica. Il “vecchio” è colpito dall’intelligenza del ragazzo e lo incarica di diventare i “suoi occhi e le sue orecchie”, per essere informato sull’andamento della guerra tarantina e su quanto si mormora in città.
Fluidamente, Giulio Castelli ci fa seguire la crescita di Roma, forte della sua superiorità campale nelle battaglie terrestri, nonostante la sorpresa e le perdite causate dagli invincibili elefanti di Pirro (i “buoi lucani”, come li chiamavano i Romani). Allo stesso tempo seguiamo l’educazione militare di Gaio e le complesse negoziazioni che precedevano i matrimoni combinati.
Lutazio sposa la sedicente Quintillia, che la prima notte di nozze gli rivela però di amare un altro giovane, il figlio di un liberto. Per rispettare i sentimenti di lei, marito e moglie decidono di non consumare il matrimonio. Dovrà restare un segreto tra loro. In missione diplomatica ad Alessandria d’Egitto, Gaio conosce una fanciulla deliziosa, Galatea. È con lei che scocca la scintilla, ma la giovane aspira al ruolo di ancella della regina, compito riservato alle vergini. Un ostacolo insuperabile per gli innamorati.
Niente affatto banale il siparietto sentimentale che Giulio Castelli imbastisce con maestria. Al ritorno a Roma Quintillia chiede scusa e si concede al giovane marito. Il ragazzo è diviso, tra il rispetto per la moglie, l’obbligo di dare un frutto alle nozze e l’amore per la giovinetta egizia.
Fabia gli regala in breve due eredi, prima una figlia poi un bambino e intanto il cursus honorum di Lutazio Catulo, la nitida carriera militare e diplomatica, gli offre un ruolo nella Repubblica come Questore, nonostante l’irriducibile ostilità di uno dei Claudii, Publio Pulcro, coetaneo e avversario fin dall’infanzia.
Giulio Castelli ha la penna felice. Ha scelto di sviluppare caratteri e fatti, sui quali si sofferma il giusto. Paesaggi, luoghi e ambienti invece filano via, tratteggiati il minimo sufficiente. Il racconto viaggia così come un treno. I personaggi sono ben scanditi e umanizzati (virtù e difetti in evidenza) e gli anni scorrono, densi di protagonisti e di avvenimenti.
Non c’è ancora conflitto con i Punici, ma le turbolenze in Sicilia finiscono per scatenarlo. Il console Caudice, un altro dei Claudii, occupa Messina con un colpo di mano, che Cartagine non può lasciare impunito. Due armate, per quasi 100.000 uomini convergono contro le deboli forze romane nell’isola. Ma è solo battendola sul mare che Roma può sperare di piegare la nemica.
Gaio comincia a studiare la questione. Viaggia, naviga, incontra. Mentre a Fiumicino i cantieri sfornano triremi, tra gli esperti lo colpisce Caio Duilio, un veterano che contesta la tattica navale classica e suggerisce un nuovo approccio, che consentirà di colmare la distanza nella tecnica marinara.
Battere Cartago è difficile, in più c’è quel Pulcro, che continua a mettere il bastone tra le ruote…
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