La battaglia del Leone di Venezia
- Autore: Giulio Castelli
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2021
La guerra di Candia, tra il 1645 e il 1669, venticinque anni di conflitto nel Mediterraneo, tra Venezia e l’impero Ottomano. Duecentomila vittime, un’enormità per l’epoca e l’inizio della fine per la Serenissima Repubblica di San Marco, cui resta poco più di un secolo di vita. È allo stesso tempo un romanzo, un saggio storico e un trattato di tecnologia militare navale del XVII secolo, con qualche concessione ai sentimenti e alle passioni d’amore, il più recente titolo del romano Giulio Castelli, ingegnere, giornalista, saggista e narratore di lungo corso, studioso di storia tardoantica e medievale. La battaglia del Leone di Venezia è uscito a febbraio, per i tipi Newton Compton (688 pagine). Per la casa editrice della capitale ha proposto altri sette romanzi. Il precedente, Il guerriero del mare, è apparso nel 2017 e riportava a un altro scontro per il controllo del Mare Nostrum, tra Roma e Cartagine.
Diciannove secoli dopo, la sfida è tra il Leone e la Mezzaluna. I Turchi sono affiancati dai pirati barbareschi del Nordafrica, mentre i dogi sono più blanditi che aiutati dal Vaticano e dagli Stati cristiani europei. Venezia è lontana quasi 1100 miglia marine dall’isola di Creta, dove Candia è la piazzaforte principale. I presidi più vicini della Repubblica sono nelle isole greche dello Ionio, a 216 miglia. Costantinopoli dista invece molto meno di 500 miglia dall’antica Heraklion e i porti del Peloponneso controllati dagli ottomani sono a ridosso del dominio veneziano conteso nell’Egeo dal sultano. La Morea è a poco più di 50 miglia, un giorno di navigazione, anche meno.
Eppure la Serenissima si ritrovò sul punto di vincere, fallì qualche scelta coraggiosa al momento giusto.
Questa la cornice storica, ma il romanzo non si limita al contesto bellico che coinvolge la flotta veneta e al contrasto tra lo sfarzo e le miserie, tanto a Venezia che nel mondo turco. Nascosti dall’eleganza e dagli eccessi sfrenati di un carnevale perenne e dietro la ricchezza e la lussuria del serraglio (l’harem del sultano) emergono dissolutezze e tradimenti, opposti fanatismi religiosi, una violenza selvaggia, il destino crudele dei galeotti ai remi delle flotte e quello degli schiavi nei famigerati “bagni” orientali.
Quando il diciottenne Marco Civran salpa dall’isola di Chio per Creta, è il 1644 e la sua Venezia e la Sublime Porta ottomana sono in pace da settant’anni. Verso Candia viaggia anche Thea, sorella di un amico greco, ragazzina da cui si sente attratto e che ricambia i suoi sguardi, colpita dai riccioli biondi del giovane veneziano che sembra “un angelo”.
La giovanissima deve raggiungere una zia, navigando sulla stessa maona da trasporto su cui viaggiano Marco, il padre commerciante e il loro carico di allume e mastice, da vendere alla Canea, altro centro dell’isola di Creta, ch’è l’ultimo possedimento controllato dal dogato, dopo la perdita di tutti gli altri nell’Egeo.
Dal battello che assistono e sono coinvolti nello scontro in mare che diventa la causa della riapertura delle ostilità tra la Serenissima e l’Impero turco. Una piccola squadra navale di Cavalieri di Malta, in guerra perenne contro i musulmani, abborda e saccheggia un convoglio su cui viaggia il capo degli eunuchi africani dell’harem. In breve, tutto precipita nella politica mediterranea, perché Costantinopoli arma le flotte e accusa Venezia di avere dato approdo alle galee dei Cavalieri, che avevano assalito la delegazione ottomana diretta in Egitto per compiere il pellegrinaggio alla Mecca.
Precipitano anche i rapporti tra Marco e Thea, per qualche avance incauta del giovane, non gradita dalla bella greca.
Lasciata Creta e la ragazza dalla zia, i Civran tornano a Venezia in pieno carnevale. Una zuffa a fil di spada con un gruppo di bravacci importuni in maschera costa la vita al padre e una ferita al figlio, curata da una seducente cortigiana delle Carampane, Melania. Ne fa la sua favorita, ma guadagna anche un nemico giurato, Pasquale Zustin, nobile della Terraferma, l’uomo che ha ucciso il genitore ed è stato colpito al volto e sfregiato da Marco.
Non è che l’avvio delle vicende del giovane Civran, dei suoi amici, nemici e donne, devote o meno, avventure che coprono l’arco temporale di due generazioni e quasi mezzo secolo.
Dall’alto della sua esperienza, a 83 anni Giulio Castelli – già firma de “Il Tempo” e “Il Mondo” negli anni ’70 – è uno scrittore straordinariamente maturo. Risaltano i dialoghi essenziali ed efficaci, nello sforzo riuscito di renderli accettabili a un pubblico moderno, senza tradire troppo il linguaggio retorico e ampolloso di quei tempi e anche il modo di comportarsi della gente, con atteggiamenti enfatici e maschilisti.
La lettura scorre, la grande storia del conflitto nel Mediterraneo orientale insanguinato è sviluppata compiutamente. Si distinguono per autorevolezza grandi nomi autentici dello Stato Maggiore della Serenissima. Al confronto, non danno una bella prova alcuni condottieri ottomani non sempre all’altezza del loro compito.
Se l’autore si è preso qualche libertà è nelle vicende personali e sentimentali dei personaggi d’invenzione, incastonate tra eventi storici veri, a tutto vantaggio di un romanzo davvero avvincente, che vale il tempo che i lettori vorranno dedicargli, perdendosi nelle pagine, tra vicissitudini in cui sembra di essere da un momento all’altro a portata di una lama o di un colpo di colubrina.
La battaglia del Leone di Venezia
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