L’altro capo del filo
- Autore: Andrea Camilleri
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Sellerio
- Anno di pubblicazione: 2016
“L’altro capo del filo” è l’ultima fatica letteraria di Andrea Camilleri, il 25° libro sul commissario Montalbano, arrivato da pochi giorni in libreria. Basterebbe la recensione dell’esimio professore Salvatore Silvano Nigro, quello che è considerato il recensore per eccellenza, la firma presente su tutti i risvolti dei romanzi che vedono protagonista Montalbano, per racchiudere ogni commento ma come sottrarsi all’urgenza di esprimere la propria impressione?
In questo ultimo romanzo la storia architettata dallo scrittore si biforca in due direzioni: i migranti che approdano sulle coste siciliane con tutto il loro carico di sofferenze e privazioni e il delitto di Elena, una di quelle figure femminili memorabili che escono dalla penna camilleriana.
È un intrecciarsi di fatti che scuotono il sonnolento comando di polizia di Vigàta e mettono a dura prova l’animo e il fisico di Salvo in primis e di tutti gli altri suoi collaboratori. Assistiamo a scene di dolore per i tanti, troppi morti annegati...
“’Nzemmula a quei morti, stava naufraganno macari il meglio dell’omo”
masse di uomini in balia del destino e delle onde del mare che può essere infido a chi lo attraversa senza averne “diritto”. Sembrano pesci spiaggiati, sfiniti e stremati da questi viaggi truffaldini, tendere loro una mano è un dovere sacrosanto. Qui entra in gioco l’intuizione di Montalbano nel regolamentare lo sbarco ed evitare che si trasformi in una sorta di arrembaggio di fortuna, al si salvi chi può, nello scansare e superare l’altro e toccare terra fortunosamente.
Camilleri in questi scenari, ahimè, attuali e reali esprime il suo modo di vedere la faccenda e, scevro da ogni buonismo d’accatto, vuole restituire dignità umana a quelli che rischiano di perderla perché le situazioni contingenti del loro Paese - guerre, fame e violazione dei diritti umani - li spingono alla fuga in massa.
Nei soccorsi dei migranti, che non impropriamente Catarella definisce sfollati perché sfuggono anche loro ai bombardamenti - “c’è una logica in questo”, riflette Montalbano, nell’ennesimo tentativo di correggere le storpiature linguistiche del suo sottoposto - il commissario può contare oltre che su tutto il commissariato, su alcuni volontari e su due traduttori di madrelingua, Meriam e il dottor Osman ma non è abbastanza: i turni sono massacranti e la fatica spossa tutti, Augello si “cataminava coma a un sonnambulo”, Fazio era morto di sonno, Catarella era “profunnamenti addrumusciuto con la testa appuiata supra al tavolino”.
Non demordono però, i sacrifici hanno un prezzo ma quando smascherano degli scafisti, giustizia è fatta. Come siamo abituati a leggere, al dramma della vicenda si susseguono anche momenti di piacevolezza, come quando Montalbano trova ristoro e godimento dei sensi alla trattoria di Enzo, ove si gode “ogni muccuni”, o con i piatti culinari preparati da Adelina.
Impagabile la scena in cui Montalbano non trova una sera il pasto preparato come al solito da lei, è in preda al “nirbùso”, con la faccia “nìvura” e prova, poi, quando lo scopre, una grande gioia. Quadri da opere dei pupi che prendono vita e ci restituiscono il sorriso.
L’altro fatto che interseca nella vicenda prende l’avvio da Livia che indirizza Salvo da una sarta, per un vestito che deve indossare per una cerimonia di matrimonio. Conoscerà Elena, donna di grande fascino, simpatia e bellezza, la vedrà solo due volte da viva. È come un personaggio di un film che compare in scena due sole volte, poi lo spettatore conoscerà la sua personalità e il suo passato attraverso le indagini in corso. Il luogo del delitto è centrale per la comprensione dei fatti, Andrea Camilleri con grande arguzia incastra dei personaggi che sono presenti all’interno delle due storie. Gli sviluppi dell’indagine saranno impervi e, appunto, come una matassa da sbrogliare, il commissario stenta a trovare il bandolo di essa, alla affannosa ricerca di quella intuizione risolutiva che non riesce subito ad agguantare e si
“sperde firriando nella sua testa. Non fu capace di mittiri ’n fila un pinsero che avissi un minimo di logica. Gli pariva che dentro al sò ciriveddro fossi all’improvviso spuntava’na gran foresta di punti ’nterrogativi... Managgia alle vicchiaglie fottute!”
La conclusione de “L’altro capo del filo”, in un certo senso, non sarà prevedibile e nemmeno assolutoria. A mio avviso, lascia con l’amaro in bocca perché inaspettata, non c’è la soddisfazione di aver trovato un colpevole ma, piuttosto, una riflessione sulla vita che fa pareggiare i conti in modo sbagliato. Tutte le volte che si legge un giallo di Andrea Camilleri, anche se è riduttivo definirli tali i suoi libri montalbaniani, due sono le sensazioni che prevalgono nel lettore, la scorrevolezza del testo che permette di arrivare alla soluzione e la lentezza di assaporare ogni singola pagina e ogni singola parola; sensazioni che si traducono in benessere mentale.
L'altro capo del filo
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