L’ira funesta di Paolo Roversi

Persone e personaggi. Un piccolo paese, sapete, una di quelle realtà provinciali di cui si legge spesso. Un po’ alla don Camillo e Peppone, per intenderci.
Ecco la storia che Paolo Roversi racconta in L’ira funesta (Rizzoli, 2013) ha uno scenario di quel tipo. Basta un niente e il sottile meccanismo s’inceppa, la catena si spezza e la caduta dalla bicicletta può essere lieve, magari solo una sbucciatura al ginocchio, o ben più grave. Molto più grave.
Per esempio il farmacista del paese che chiude per un impegno personale e un cliente che non trova la sua medicina. Come potrà reagire, quell’anima, a quello che lui vede come un sopruso? Violentemente, molto violentemente. Tanto da assalire più persone per poi barricarsi in casa, convinto della propria innocenza.

C’è da dire che al Piccola Russia, il borgo che ospiterà questi sprazzi di follia, nessuno sussulta minimamente. Sono abituati alla follia del Gaggina, il “cliente insoddisfatto” e nessuno ormai ci fa più caso. Dai e dai, però, alla fine qualcosa deve accadere.
E quando ci scappa il morto, ecco che la tolleranza diviene violenza, rabbia… Colpa del Gaggina o qualcun altro ha deciso di movimentare le vite di quella brava gente?
Al maresciallo Oscar Valdes l’onore, diciamo così, di sbrogliare una matassa che, a poco a poco, svelerà l’arcano…

Paolo Roversi scrive di noir con uno stile fresco e oserei dire unico, uno stile che prende dopo poche righe e porta dritti fino all’epilogo. Un epilogo che forse non accontenterà tutti, ma, tutto sommato, è giusto così.
Da leggere per provare qualche brivido, ne vale davvero la pena.