L’odissea dell’Armir. Dal Don a Nicolajewka. La ritirata degli alpini dalla Russia raccontata dai reduci
- Autore: Mario Bussoni
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2022
In quasi ottant’anni si è scritto tanto sulla campagna di Russia dell’Esercito italiano nel 1942-43: che significato può avere pubblicare un nuovo testo storico sull’argomento?
Ne ha, si può essere certi, il saggio recente di un ispirato Mario Bussoni, dal titolo L’odissea dell’Armir. Dal Don a Nikolajewka. La ritirata degli Alpini dalla Russia raccontata dai reduci, edito in prima edizione l’anno scorso per i tipi Mattioli 1885, casa editrice di Fidenza-Parma (giugno 2022, collana “Archivio Storia/Obiettivi”, con numerose cartine e fotografie in bianco e nero nel testo, 212 pagine).
È un testo che vale, perchè l’autore è uno specialista d’eccellenza della materia storica trattata e perché il volume ricostruisce tutto di quegli eventi, dalle ragioni allo svolgimento e alle conseguenze, sviluppando un format accessibile anche ai lettori non al corrente, senza tediarli, senza sommergerli di pagine e con una costante, sentita ma non retorica partecipazione alle sofferenze dei protagonisti, soldati, sottufficiali, ufficiali, fanti, bersaglieri, alpini. Presero parte in 230mila alla campagna mussoliniana in Russia, perirono in 41mila nella tragica ritirata.
Che poi furono due: a dicembre del 1942 l’Armata Rossa sfondò prima il fronte delle divisioni di fanteria italiane sul Don, costringendole alla tragica ritirata verso l’Ucraina, ma rinviarono alla seconda metà del gennaio 1943 l’offensiva contro le tre divisioni alpine. Vennero accerchiate in una sacca e costrette a battersi in drammatiche battaglie disperate, per aprirsi la strada verso occidente, in un’altra pietosa ritirata a piedi nella steppa gelida.
Chi non ce la fece, cadde o finì in prigionia, in condizioni severissime, ancora più dure delle più pesanti alle quali vennero sottoposti i nostri prigionieri in mano ad altri eserciti alleati nella guerra contro il nazifascismo.
Nella prefazione, il generale degli Alpini Giuliano Ferrari, già comandante della Julia, mette in risalto lucidamente l’attualità del lavoro di Bussoni:
Si muove sullo stretto crinale dell’imparzialità di giudizio
Maneggiando con competenza l’imponente massa di fonti, l’autore evidenzia eventi ed emozioni.
Oggettivamente “impossibile” dire qualcosa di nuovo su quelle centinaia di migliaia di giovani malamente equipaggiati, impiegati in un ambiente naturale ostile e contro un avversario superiore. Nei combattenti si creò una situazione difficile per i soldati sconfitti e avviliti:
Si generò un senso di frustrazione, accompagnato da un’immensa quantità di dolore.
Il generale sottolinea che tra le campagne della seconda guerra mondiale, quella di Russia simboleggia più di altre l’orrore e l’insensatezza della guerra.
Il disastro in Grecia-Albania nel 1940-41, che pure costò decine di migliaia di morti, feriti, congelati e dispersi o le sconfitte nei deserti dell’Africa Settentrionale tra il 1941 e il 1943, colpirono meno l’immaginario collettivo nazionale, “al momento e dopo, perché le atrocità commesse furono rare” e le convenzioni di guerra vennero in genere rispettate.
Nel Secondo dopoguerra, tantissime famiglie italiane piangevano caduti in Russia e dispersi, ancora peggio, di cui non si conosceva la sorte (se morti, prigionieri, scomparsi nel gelo). La ritirata aveva messo in difficoltà le furerie dei Comandi e le Autorità sovietiche non tennero una contabilità affidabile dei militari nei loro campi di concentramento, sparsi nel proprio l’immenso territorio asiatico. Consideravano i nostri degli aggressori e d’altra parte, prestando poca attenzione ai propri stessi soldati e riservando tutte le risorse al combattimento, avevano poco e mai abbastanza da concedere ai militari nemici reclusi nei gulag.
Dopo la cattura, i soldati italiani venivano avviati a marce forzate verso destinazioni lontanissime, a piedi o in treno, ma in vagoni per lo più scoperti. Quanti sono morti in quei trasferimenti?
Si pensi che la maggior parte dei sopravvissuti vennero restituiti all’Italia solo nel 1953-54, molti anni dopo la fine del conflitto e il trattato di pace di Parigi.
Uno dei non pochi motivi d’interesse di questo lavoro risiede proprio nei numeri, in genere sempre difficili da accertare, ma stavolta molto di più.
Bussoni si affida alle ricerche di Maria Teresa Giusti (le più recenti nel 2019). La docente dell’Università di Pescara ha accertato che la polizia politica stilava tabelle per Stalin e Molotov. In una, il numero dei prigionieri italiani censiti al 1 marzo 1944 è indicato in 43.674. Nel dettaglio: presenti 10.624, deceduti 33.050, il 75,70 per cento, percentuale altissima di morti.
Il nostro Ministero della Difesa ha archiviato la documentazione relativa a circa 90mila militari che non hanno fatto ritorno dal fronte russo. Se si considera che circa 5mila atti riguardano caduti e dispersi prima del 10 dicembre 1942, restano approssimativamente 85mila nomi.
Efficaci le conclusioni di Mario Bussoni, giornalista e viaggiatore, direttore della collana Archivi Storici di Mattioli 1885.
Nella Seconda guerra mondiale, è stata una delle pagine più truci e assurde della storia italiana, ancora costellata da qualche ombra. Strumentalizzazioni, opportunismi e calcoli politici hanno creato danni irreparabili nel corso degli anni.
L’unica a uscire veramente sconfitta è stata purtroppo la verità.
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