La famiglia Winshaw
- Autore: Jonathan Coe
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Feltrinelli
- Anno di pubblicazione: 2014
“La famiglia Winshaw” di Jonathan Coe viene pubblicato per la prima volta nel 1994 con un titolo discutibilmente adattato dall’inglese What a Carve Up! (in italiano, Che massacro!).
La storia è quella di Michael Owen, uno scrittore semi-famoso e un po’ piagnucoloso che viene incaricato di seguire l’epopea della “famosa” (fittizia) famiglia Winshaw negli anni Ottanta, parodia della potenza thatcheriana che in molti considerano essere stata, a tutt’oggi, la rovina dell’Inghilterra.
La grande torta britannica del potere, tolta la fetta cicciona che fa capo alla regina, appartiene quasi interamente a questo nucleo familiare di manigoldi destrorsi senza alcuna etica che monopolizza ufficiosamente ogni aspetto della vita statale.
Si tratta di una critica feroce alle élite a favore del welfare, è vero, ma di politica vera e propria, in realtà, c’è poco: essa funge da cornice per l’universo in cui si svolge la storia, la crosta di un’opera enorme in cui il protagonista è un uomo che, all’età di nove anni, vide un film che lo spaventò e eccitò al punto da segnarlo per tutta la vita. La sua stessa sensibilità, la sua concezione dell’amore da adulto deriveranno, in gran parte, da questa pellicola, ovvero Sette allegri cadaveri (che, curiosamente, è il titolo in italiano del film What a carve up! al quale è ispirato il libro).
La bravura di Jonathan Coe sta nell’unire con grande naturalezza la storia di questo bambino ipersensibile a un universo politico-economico di pescecani che porteranno simbolicamente alla rovina del Regno Unito utilizzando un punto di vista caleidoscopico in grado di mostrare ogni angolatura di ciò che accade come fosse un libro girato a 360°, e ritrovando una coerenza di fondo paragonabile a una matrioska che inizia e finisce con sé stessa in un loop perfetto e immensamente soddisfacente.
L’ironia dello scrittore inglese è di una raffinatezza incredibile; Jonathan Coe nasconde qui e lì delle piccolissime perle, e la sensazione è quella di un professore che stimi molto che ti fa l’occhiolino: credi di aver capito solo tu, tra tutti. E si ride da soli, sul treno, sull’autobus, e si piange, perché fa anche piangere, per quanto è scritto bene, in primis, ma anche per come è leggero, accondiscendente, delicato e improvvisamente violento nel momento in cui ci si sente più rassicurati da quello che sta succedendo. Che a parere mio è quello che l’autore sa far meglio, accarezzarti, darti una coperta calda e una barretta di cioccolato e poi boom, tirarti un pugno in bocca e farti cadere tutti i denti, insanguinati, uno a uno.
Quando meno ve lo aspettate il talento di Jonthan Coe vi mozzerà il fiato, e non farete altro che chiederne ancora.
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