La grammatica di Dio
- Autore: Stefano Benni
- Categoria: Narrativa Italiana
Stefano Benni è sempre un’incognita: aprire un suo libro significa non
saper mai dove abbia deciso di portarti, ma la certezza è che – quasi sempre – lo farà con classe, stile e convinzione.
"La grammatica di Dio” è un felice collage di 25 racconti, il cui titolo deriva da una riflessione di Frate Zitto:
gli esseri umani sono il libro del mondo, ma non possono raccontarlo, nessuno di essi può spiegare la grammatica di Dio.
Le atmosfere variano dal grigiore cupo di "Boomerang" ai toni all’apparenza surreali di "Carmela", dall’incanto di "Le lacrime" al divertimento di "Solitudine e rivoluzione del terzino Poldo", dall’amaro di "Alice" fino all’incantevole "L’istante", gioiellino nascosto in due pagine praticamente perfette a metà volume.
Difficile recensire un tale volume, proprio per l’estrema varietà dei registri
espressivi usati dall’autore, che non danno tregua al lettore: una volta aperto,
difficilmente “La grammatica di Dio” si lascia posare prima che sia terminata la
lettura. Definirlo scoppiettante è forse eccessivo e non adeguato, ma certamente lo stile di Stefano Benni risulta avvincente e coinvolgente, tanto da far patire al lettore ogni pausa si imponga tra un racconto e l’altro. Si esce dalla lettura con la sensazione di essersi immersi nella normale giornata del mondo: quasi nulla di ciò che si è letto è impossibile, e l’insieme risulta frastornante e plausibile, come se la vita umana nelle sue sfaccettature giornaliere fosse vista da una postazione privilegiata che permetta di abbracciare una larga fetta d’umanità.
La grammatica di Dio: Storie di solitudine e allegria
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“Che iella pensò, ho appena scoperto che l’uomo più solo al mondo non esiste e non ho nessuno a cui dirlo. E così buttò giù un po’ di appunti e andò a letto. Solo”.
Ironia, sarcasmo, amarezza e solitudine. Sono queste le prime emozioni che si provano dopo aver letto le storie di Stefano Benni nella raccolta “La grammatica di Dio”; storie che ti lasciano perplesso, spiazzato, come se la banderuola non indicasse più la giusta direzione, come scriveva Montale nella poesia “La casa dei doganieri”. Ma se per Montale era la morte della donna salvifica ad aver causato lo smarrimento dell’autore, per Stefano Benni è la vita stessa che pone l’uomo davanti al caos, alle coincidenze, allo sradicamento esistenziale. Tutti sentimenti che rispecchiano perfettamente la condizione dell’individuo nella società post-moderna, senza più ideali, all’interno di un mondo in cui l’uomo ha perso i suoi punti di riferimento.
Questo si percepisce nel racconto “Mai più solo” dove lo scrittore rappresenta la solitudine dell’uomo nella moltitudine, come spiegava in qualche modo anche Nietzsche in “Umano troppo umano”. E dunque l’unico rifugio che trova il protagonista della storia è la finzione: fingere grazie al nuovissimo “cellulare” di essere meno solo di quello che è veramente. Ma la bugia è così convincente da ridurre lo spazio tra finzione e realtà, invertendone i ruoli. Tema che sicuramente è di forte attualità visto l’utilizzo di Internet e dei social media che non ci permettono di vivere a pieno le emozioni, trasportandoci continuamente al di qua e al di là della realtà. La finzione è difatti anche ne “La grammatica di Dio” un tema chiave che collega tra loro varie storie: la finzione di essere felici, di essere appagati, di non essere soli. E sicuramente la finzione è accompagnata anche dall’ingenuità, cioè dal fatto che i personaggi non si accorgano veramente delle condizioni in cui versano: i personaggi di Benni vivono nella costante ignoranza e passività di tutto ciò che li circonda. Questo si comprende anche dalla citazione iniziale dove “Lo scienziato”, portato avanti dal bisogno di sapere chi è l’uomo più solo al mondo, non si accorge che è lui stesso a trovarsi in una situazione di abbandono, senza nessun contatto umano.
Pirandello direbbe che osservando i personaggi di Benni avvertiamo un forte sentimento del contrario: dapprima abbiamo solo un avvertimento della scena inusuale che stiamo leggendo, che ci provoca riso e pietà. Così in questo caso ridiamo della figura dello Scienziato, ignaro della sua situazione. Tuttavia al termine della lettura non è il riso a rimanerci impresso, bensì un forte senso di amarezza, che deriva dalla constatazione della vera condizione dello Scienziato, solo e inappagato. E difatti Benni inscena perfettamente l’umorismo pirandelliano, rappresentando personaggi ironici che allo stesso tempo provocano tristezza nel lettore. Da questo dualismo deriva, forse, il sottotitolo dell’opera: “Storie di solitudine e allegria”, che rappresenta da un lato la condizione infelice in cui si trova l’uomo e dall’altro sia il riso del lettore sia l’allegria momentanea dei personaggi, che deriva proprio dalla loro ignoranza.
Ma Benni va ben oltre la fantasia dell’artista e si accinge anche a reinterpretare testi letterari in chiave moderna. Così l’Alice nel Paese delle Meraviglie di Carroll si trasforma nella ragazza sola, disperata de “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino”, trascinata all’interno di un mondo crudele e costretta a crescere troppo in fretta. Allo stesso modo la scena dell’Orlando innamorato e furioso di Ariosto viene completamente svuotata del suo eroismo, trasformando Orlando in un uomo inetto, processo già utilizzato da Italo Calvino ne “Il cavaliere inesistente”.
Ma perché dunque un libro così terreno e immanente viene intitolato “La grammatica di Dio”? Se con il termine grammatica intendiamo le regole della nostra lingua, Benni estende questo significato alle norme che regolano la vita in generale. Tuttavia nelle storie non vi è logicità, trascendenza ma solo caos e immanenza. Benni vuole dunque mostrare l’illogicità della vita umana. E così come per Camus ne “L’étranger”, diventa superfluo comprendere veramente le azioni dei personaggi nella raccolta in quanto la mente umana non è governata dalla ragione.
Un libro globale, per riassumere in breve il contenuto dei racconti, che varia e spazia tra i più diversi lati della mente umana, inserendo l’uomo all’interno di un mondo meta-reale, dominato dalla fantasia e dall’immaginazione. Ma in fondo, come sottolinea il celebre scrittore italiano Tabucchi, “la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità”.