La Svedese
- Autore: Giancarlo De Cataldo
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2022
Sharon, per tutti Sharo, ventiquattro anni ancora da compiere, il padre caduto da un’impalcatura e la madre invalida, vive alle Torri, periferia romana:
“Visto dall’alto, dal poggetto sopra il curvone, alla fine della rampa del Grande Raccordo, il quartiere sembrava un serpentone avvoltolato in un doppio ordine di spire. E le luci della notte, con il loro brillio sporadico e intenso, parevano le macchie di colore sul grigio scuro della pelle”.
L’architetto che ha progettato le Torri era animato dalle migliori intenzioni: dare al popolo una casa dignitosa in un luogo ameno e confortevole. Due strade parallele – una delle quali è l’ingresso principale – dove ci sono dodici isole, ognuna con una coppia di torri, circondate da prati poco curati.
Luogo di spaccio e di bande che si contendono la piazza con ogni mezzo e non ammettono sgarri; una prigione da cui evadere per chi, come Sharo, aspira a qualcosa di meglio.
L’occasione si presenta per caso una sera, quando, a causa di un incidente deve consegnare per conto del fidanzato una bottiglia di pregio a un ricco del centro, il “principe”.
La sua proposta è semplice e diretta: per motivi che la ragazza scoprirà in un secondo tempo, dovrà essere lei, e solo lei, a consegnare la droga.
Mille euro come extra a ogni consegna e millecinquecento per le chiamate d’emergenza: accettare, per Sharo, significa cambiare vita, non rinunciare al sogno di affrancarsi dalle Torri.
La roba è fornita dall’Aquilotto, uno della vecchia guardia, sessant’anni e più sulle spalle, una dozzina dei quali trascorsi all’Albergo di Roma, dove, da ragazzino, racconta di essere stato preso a benvolere da alcuni tipi della Magliana.
Il Gran Caffè che sorge sul precario confine fra le Torri e il Fossato – un tempo territorio degli zingari e adesso per metà è il cantiere di un polo informatico-elettronico – è suo, ma è gestito dalla moglie, che vuole trasformarlo da bivacco per i coatti della zona in punto di riferimento per la brava gente, squadre di operai e di tecnici che sovrintendono la costruzione del polo.
Sulla droga Sharo si è fatta una cultura in rete. La “Gina” si può procurare facilmente sul dark web e in alcuni paesi, come Olanda, Croazia e Polonia, si può acquistare liberamente. Chiamata anche “Tina”, “Prodotto”, “Profumo”, bastano poche gocce sciolte in una bevanda per indurre al rilassamento muscolare e uno stato di stordimento che predispone alla massima disponibilità – per questo, se somministrata di nascosto e con un fine ben preciso, diventa droga dello stupro.
Ha anche breve durata e una controindicazione evidente: il rilassamento va bene per subire, ma depotenzia l’eccitazione. Per questo si rende necessario assumere un qualche stimolante: Ghb, Gbl, Mdma, coca, il Khat, il catinone – quest’ultimo molto di moda, perché più a buon mercato della coca e la sua formula, per il momento, non è vietata.
Quando con l’Aquilotto sorgono dei contrasti, la ragazza, che ora ha un soprannome, la Svedese – per il colore dei capelli e la bellezza che ricorda i tipici tratti nordici –, non esita e rivolgersi a Jimmy, l’albanese e, infine, ai calabresi, la vetta della montagna criminale:
“Si sentivano poco, si vedevano ancora meno, e davano l’idea di lasciar fare, senza intromettersi troppo. Ma alla fine decidevano tutto loro. Controllavano i flussi di coca, la loro principale fonte di reddito. Tolleravano il mercato delle droghe sintetiche perché non aveva ancora raggiunto livelli di guardia, ma erano lì, pronti a intervenire al momento opportuno. Gli albanesi erano la loro longa manus”.
Dalle nuove generazioni i calabresi si aspettano che grazie al titolo di studio – scienze aziendali a Milano e il perfezionamento a Londra – possano far girare i soldi, ripulirli, reinvestire gli utili e moltiplicarli.
L’ascesa di Sharo comporta però nuove responsabilità: deve guardarsi da chi trama alle spalle per prendere il suo posto, difendersi e, soprattutto, non abbandonare la posizione, mai arretrare di un passo.
L’alternativa, come suggerito dal principe, è preparare un’adeguata uscita di scena…
Ne sono passati di anni da Romanzo criminale. Venti per l’esattezza.
Com’è cambiata l’Italia del crimine – Roma in particolare –, ce lo spiega ancora una volta Giancarlo De Cataldo, citando se stesso, nel nuovo romanzo, La Svedese (Einaudi, 2022):
"Sulla strada non c’era più il ferreo controllo di una volta, quando quelli della Magliana s’erano presi Roma. Non erano più i tempi di Romanzo criminale. Ora tutti facevano un po’ come gli pareva, bastava non pestarsi i piedi. Bastava sapersi muovere un po’ in rete e si potevano comprare barili di «Gina» e tirarci su dei bei soldini".
Quella che viene messa in scena non è la guerra alla criminalità da parte delle forze dell’ordine – le “guardie”, assenti per buona parte della trama, o corrotte –, ma la lotta fra le bande per il controllo dello spaccio, che infuria con violenza non appena i suoi precari equilibri vengono messi in discussione.
De Cataldo racconta un mondo che prospera incurante delle regole, con i suoi meccanismi di potere, e i rapporti nascosti e palesi tra criminalità, sottobosco affaristico, imprenditoria e politica.
Un mondo di perversioni e malavita, dove tutti hanno un soprannome – Pennellone, er Motaro, il Turco, il Tovaja… – e pochi riescono a rimanerne, se non lontani, almeno ai margini: i personaggi sprofondano nell’abisso del male da cui sono attratti, persuasi che la legalità sia un concetto a loro estraneo.
Persino Sharo, con i suoi buoni propositi, la sua “devozione” per la madre odiosa e un lavoro “onesto”, anche se in nero, deve adeguarsi alle sue dure leggi.
La Svedese è una sorta di radiografia delle brutture che caratterizzano certe esistenze contemporanee, una feroce parabola metropolitana capace di spiare i meandri più oscuri della capitale, i palazzi del centro, come le periferie più degradate: Roma è parte integrante della storia, fino a diventare entità comprimaria della narrazione.
Una particolare attenzione al racconto dello spazio urbano, i tratti caratteristici dell’indagine sociale, insieme alla necessità di riprodurre il parlato con la forma dialettale mettono in luce la ricerca stilistica dell’autore e una forte istanza di realismo letterario.
Istruttivo quindi, ma La Svedese è anche e soprattutto un romanzo pieno di furia, sangue, vendetta e tradimenti, dove viltà e follia competono con il coraggio: i tempi cambiano e, con loro, gli uomini, il mondo, le anime e, di conseguenza, gli eroi dei romanzi.
La Svedese
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