Io sono il Libanese di Giancarlo De Cataldo

Nel 2002, grazie alla penna del giudice e scrittore Giancarlo De Cataldo, usciva Romanzo Criminale, un libro che nel tempo è diventato un vero e proprio fenomeno di costume, grazie all’omonimo film diretto da Michele Placido ma soprattutto alle due serie del telefilm.

A dieci anni dalla pubblicazione del libro che ha consacrato il talento narrativo di De Cataldo, è uscito in questi giorni Io sono il Libanese (Einaudi, 2012), il prequel di quel Romanzo Criminale che è stato in grado di portare personaggi reali, come i componenti della Banda della Magliana, nell’Olimpo della letteratura romanzandoli all’interno del verosimile.

Cresciuto sulla strada e già dentro per affari di armi a soli 25 anni, Pietro Proietti ha come obiettivo quello di diventare il Re di Roma: il Re degli affari criminali di Roma. Il suo sporco sogno nasce dal bisogno di riscattare il suo passato, ma è oggetto, di tanto in tanto, di ripensamenti che lo portano ad avvicinarsi alla convinzione che, una volta scontata la pena, il riscatto migliore per la sua vita sarebbe una donna, una famiglia e un lavoro onesto. I pensieri puliti vengono però totalmente messi da parte nel momento in cui Pietro, detto il Libanese, riesce a sventare l’omicidio del figlio di un capo della camorra diventando così il pupillo del boss.
Uscito di prigione, il ragazzo incontra Giada, giovane donna dei quartieri alti che vuole fare la rivoluzione: la ama ma poi la perde e con lei perde l’opportunità di un destino che non sia criminale.

Forse meno avvincente ma certamente più introspettivo e più maturo dal punto di vista letterario del suo sequel, Io sono il Libanese riesce a non cadere nella trappola dell’eterno secondo, sviando il confronto con Romanzo Criminale grazie alla capacità dell’autore di dare un taglio duro e reale ma completamente diverso a questo libro rispetto al precedente.

Il rischio di essere un romanzo nato per spiegare era forte, ma Io sono il Libanese è la storia di una solitudine criminale che poi diventa parte di una banda, perché il lettore lo sa e non perché il libro si pone come scopo il dovere di spiegarlo. Questo romanzo è a sé e racconta una parte di vita facendo il suo dovere nel migliore dei modi.