La testa ci fa dire. Dialogo con Andrea Camilleri
- Autore: Andrea Camilleri Marcello Sorgi
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Sellerio
Il lettore che voglia ripercorrere le vicende più significative della vita di Andrea Camilleri e avere notizie dettagliate sulla genesi di alcune sue opere non può non accostarsi a “La testa ci fa dire. Dialogo con Andrea Camilleri” (Palermo, Sellerio 2000).
L’intervistatore è Marcello Sorgi: giornalista siciliano, cronista parlamentare e direttore de “La Stampa” di Torino, noto anche per avere scritto due bei libri, Edda Ciano e il comunista (Milano, Rizzoli 2009), da cui è stato tratto l’omonimo film per Rai Uno, nonché Le amanti del Vulcano (Milano, Rizzoli 2010), ricostruzione del triangolo d’amore tra Roberto Rossellini, Ingrid Bergman e Anna Magnani. Suggestiva la prefazione nella quale Sorgi, oltre ad esplicitare il titolo dato al libro, sintetizza gli aspetti colti nel corso dell’intervista. Così egli annota: “Tipica espressione siciliana (sul dizionario italiano Tommaseo-Bellini non c’è), “la testa ci fa dire”… La citano, alla voce “testa”, i due grandi vocabolari siciliani, il Pasqualino (edizione 1875) e il Traina (1868), “diri la testa”, “mi dici la testa e lu cori”, “mi dici la testa ca”. Vale come “presagire”, “ho paura che”, “un animo mi dice che”. Presagio, presentimento, timore, tentazione, specie quando accompagnano il desiderio o il rifiuto di qualcosa, descrivono l’ambiguità di un certo animo siciliano, pur senza riuscire a coglierne fino in fondo, l’essenza e gli aspetti positivi”. Subito dopo chiarisce:
“Con Andrea Camilleri, non ci conoscevamo. Avevo letto una serie di suoi racconti molto spiritosi pubblicati sulla “Stampa”. E poi, di seguito, i suoi libri, a cominciare da "Il Birraio di Preston". Un giorno di due anni fa , per lavoro, combinammo di incontrarci”.
Tante le domande da lui poste in “un’afosa serata di luglio”, mentre le risposte date da Camilleri non finiscono di appassionare per il fascino che sa comunicare quando conversa. Sono, dunque, la “testa” e il “cuore” a segnare l’incontro dei due intellettuali isolani. Ed essi, pur scambiandosi la raccomandazione di voler mettere tra parentesi la comune radice, non riescono a fare a meno di parlare, sia pure con ampie vedute, della loro “sicilitudine”. A proposito della distinzione di Vittorio Nistico, il direttore negli anni ruggenti dell’ “Ora” di Palermo, sui “siciliani di scoglio e di mare aperto”, Camilleri, al pari di Leonardo Sciascia, si sente di appartenere alla seconda categoria, facendo del suo essere isolano “una forza motrice e una remora a un tempo”: da un lato, si proietta nell’orizzonte del mondialismo; dall’altro, vive gli eccessi di un temperamento prettamente localistico.
Plurimi i tratti del suo ritratto umano e culturale in contesti di ampie relazioni da cui affiorano indelebili ricordi sui processi della sua formazione. Ad esempio: Roma, il cinema e la televisione, vissuti e rimembranze familiari, il procedimento di scrittura, il personaggio di Montalbano (a differenza di Maigret, questi non resta immutato nel tempo; per alcuni aspetti caratteriali, quali le pause di silenzio, l’ironia, una certa timidezza, l’impaccio nel parlare in pubblico…, è visto in sintonia con il comportamento di Leonardo Sciascia), la funzione del dialetto e la costruzione del personaggio, gli anni della formazione politica, il riferimento a Brancati e a Swuift. In questo senso, l’intervista si rivela una documentazione imprescindibile per la ricostruzione biografica del nostro amato scrittore.
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