La verità, vi prego, sull’amore
- Autore: Wystan Hugh Auden
- Casa editrice: Adelphi
Sembra facile parlare d’amore, diffondere il sentimento, esprimere emozioni piacevoli e non. Ma raccontare la propria ferita, che è ferita universale della perdita, è cosa ardua. A farlo ci si sente nudi, fragili e bisognosi. In genere l’orgoglio impedisce queste confessioni. Poeti coraggiosi riescono a farlo, come W.H. Auden nel suo splendido e memorabile La verità, vi prego, sull’amore (Adelphi, 1998, pp. 68) con un piccolo saggio introduttivo di Josif Brodskij, traduzione di Gilberto Forti. Oggi il volume è arrivato all’ottava edizione italiana, segno di un successo ampio e meritato.
Il miglior commento, la miglior vicinanza a un poeta è data da un altro poeta, per quell’empatia e consonanza unica di chi si trova sulla stessa lunghezza d’onda, per l’immediata comprensione di metafore e linguaggio figurato ancestrale che la lingua fa risuonare. Per Auden davvero siamo in presenza di musica, con le sue rime continue, purtroppo perdute in traduzione, le quartine eleganti e le stanze in ottava di stampo tudoriano, quasi una “danza macabra” scrive Brodskij, che commenta:
“Profondamente tragiche come sono, rimangono anche straordinariamente divertenti, perché la loro ironia è un risultato della desolazione.”
“Anche nei suoi momenti più bui Auden vi illumina e v scalda il cuore.”
La traduzione conserva tutta la meraviglia della sorpresa, date le immagini e il loro accostamento. Come, riferendosi all’amore:
"Ho trovato che vi si accenna nelle / cronache dei suicidi, / e l’ho visto perfino scribacchiato / sul retro degli orari ferroviari."
Infatti: chi non ha mai visto tracciato il nome di un innamorato/a su un muro, inciso sul tronco di un albero, sui bordi bianchi di un giornale, o chissà dove? Siamo così, ovvero invasati da Eros, che diventa ossessione. Distrutti, alcuni, fino a morirne. L’amore assale quando vuole, sa essere despota. Auden ha la freschezza della prima esperienza amorosa, è un adolescente senza tempo, un romantico assoluto che mescola la passione agli aspetti prosaici della vita, perché per chi ama tutto è sublime, tutto è poesia:
"Quando viene, verrà senza avvisare, / proprio mentre mi sto frugando il naso? / Busserà la mattina alla mia porta, o là sul bus mi pesterà il piede?"
L’amore in lui è assoluto ed estremo. E come per ogni assoluto, tutto inevitabilmente si consuma. Dobbiamo cantare e piangere, sperimentare bontà e perfidia, provare contemporaneamente
"Il Diavolo dell’orologio, / la bontà portata attentamente / per espiazione o per nostra fortuna; / noi i nostri amori li dobbiamo perdere, / volgendo uno sguardo invidioso / a ogni animale e uccello che si muove."
Dobbiamo... è la fondamentale condizione dell’esistenza, nel bene e nel male. Siamo costretti a seguire questo dio intransigente quando arriva. Al dolore della fine di un legame, in queste rime stupefacenti fa da contraltare la splendente e luminosa follia, secondo Platone la più grande delle manie, che portano alla conoscenza.
"Sospiri per follie compiute e dette / storcono i nostri angusti giorni.”
Notiamo i verbi al plurale, segno di una condizione comune. Il tempo è il nemico che ci si para di fronte. Altro nemico di Amore è la guerra con "i soldati scarlatti".
Amica è invece la natura d’estate; con i suoi adescamenti seduttivi si unisce ai desideri ed ai piaceri umani, in perfetta concordanza:
"Mentre i fiori nell’erba e gli uccelli nell’aria / ragionavano dolci del reciproco amore".
I temi amorosi felici sono eterni. La disperazione anche. Auden trova accenti unici e profondi per dirla, nel suo patetico coinvolgente "Blues in memoria":
"Fermate tutti gli orologi, fermate il telefono, / fate tacere il cane con un osso succulento, / chiudete i pianoforti, e tra un rullio smorzato / portate fuori il feretro, / si accostino i dolenti. [...]Lui è Morto, / allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni, / i vigili si mettano guanti di tela nera."
Il surreale è accostato al pianto, accrescendolo. Non occultare significa auspicare una pace possibile, quando il dolore e la morte diventano rito collettivo e condiviso. È un modo per tentare il superamento. Fare memoria disperandosi è già andare oltre.
Sempre Bronskij:
“Per quanto il libro sia smilzo, nel chiuderlo sentirete e vi direte non quanto è grande questo poeta, ma quanto umani siete voi. Le sue poesie sono totalmente immuni da qualsiasi posa, e non vi parlano del poeta e dei suoi travagli ma vi dicono se potete farcela.”
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