Morte accidentale di un amministratore di condominio di Giuseppina Torregrossa

Morte accidentale di un amministratore di condominio (Marsilio, 2021) è il nuovo romanzo giallo della scrittrice siciliana Giuseppina Torregrossa, nata a Palermo vive tra la Sicilia e Roma, dove ha lavorato più di vent’anni come ginecologa. È stata già autrice di Cortile nostalgia, Il figlio maschio e di Panza e prisenza, Al contrario, Il basilico di Palazzo Galletti, Il sanguinaccio dell’Immacolata, dedicati alla figura del commissario Maria Teresa Pajno, detta Marò, del Commissariato del quartiere Politeama di Palermo.

“La sua non era una stanchezza fisica, ma una prostrazione mentale”.

Roma, 24 dicembre. Commissariato di Viale delle Medaglie d’Oro.
A Mario Fagioli, cinquantacinquenne ispettore di polizia prossimo alla pensione, detto il Gladiatore per via di un passato da combattente, era stato appena assegnato un incarico “rognoso”. Eppure Mario non aveva per niente voglia di lavorare, soprattutto in quei giorni così vicini alle festività natalizie, che inasprivano il suo senso di solitudine già acuito dalla recentissima scomparsa dalla madre novantenne. Fagioli se ne sarebbe andato in pensione senza lasciare traccia del suo passaggio nella polizia di stato, fatta eccezione per l’impronta delle sue dita unte (che buona la pizza rossa del forno di Ponte Milvio, il migliore di tutta Roma Nord!) impressa oramai indelebilmente sui braccioli della sedia e il bordo della scrivania.

L’incarico “rognoso” riguardava la morte accidentale di un uomo avanti negli anni, avvenuta all’interno del più bel condominio della zona chiamato “Parco della Vittoria” in via Minimi, 59. Un palazzo abitato da gente potente: magistrati, militari, alti papaveri abituati al comando, nel cui androne si trovava una sagoma riversa sul pavimento. Il cadavere giaceva vicino al primo gradino della rampa, adagiato sulla schiena, le braccia accostate al corpo, le gambe allineate. A Michele Noci, amministratore del condominio nonché condomino facoltoso del palazzo, mancava una scarpa infilata tra le porte dell’ascensore, bloccandone la chiusura automatica.

Dall’alto alcune “vecchiette” osservavano la scena. Era stato il portiere rumeno a trovare il cadavere verso le 13, un portiere che molto sapeva e poco parlava, anzi raccontava a Fagioli solo lo stretto indispensabile. Su ordine del questore, occorreva trovare un colpevole in tutta fretta, uno qualsiasi, e arrestarlo senza esitazione, alla faccia del garantismo. Eppure dentro Mario Fagioli montava una strana inquietudine e la sensazione che ci fosse un’altra verità oltre a quella apparente. Quel caso era una vera iattura, il poliziotto si sentiva fuori allenamento, il suo lavoro da tempo consisteva nella compilazione di ordini di servizio, qualche scartoffia da archiviare e pochi timbri.

“Sapeva che si sarebbe cacciato nei guai, ma perché farlo proprio ora, a soli due anni dalla pensione?”

Non era assolutamente una morte accidentale quella dell’amministratore condominiale Michele Noci, amante del potere e delle donne, traditore seriale di una moglie forse troppo paziente. Contro tutto e tutti, invece di comportarsi da semplice passacarte, assecondando l’ordine del questore, Mario Fagioli, bellissima figura di poliziotto disilluso, al quale il cibo rappresenta l’unica fonte di consolazione e la pizza agisce su di lui come una droga, dipana il filo di una matassa ingarbugliata.

Abbandonata per un attimo la Sicilia, l’autrice descrive con ironia e sottile perfidia un microcosmo, un palazzo altoborghese romano, un condominio che altro non è che un concentrato di potere da prima repubblica: ex magistrati in pensione, politici di lungo corso e le vedove sono imparentate con i nuovi boiardi.

“Gladiato’, il capo sta storto stamattina, non farlo aspettare”.

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