Renzo, Lucia e io. Perché, per me, I Promessi Sposi è un romanzo meraviglioso
- Autore: Marcello Fois
- Genere: Classici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Add editore
- Anno di pubblicazione: 2018
L’ultimo lavoro di Marcello Fois, dal titolo "Renzo, Lucia e io. Perché per me, I promessi Sposi è un romanzo meraviglioso", (2018, pp. 144) fa parte di una collana denominata Incendi, all’interno della quale alcuni autori raccontano “guide appassionate a percorsi di conoscenza”, pubblicato da una casa editrice come Add, che si occupa, in particolare, di temi sociali e civili.
Lo scrittore sardo, abitante da tempo a Bologna, con numerosi romanzi di successo alle spalle, tra cui solo per citarne alcuni "Picta" (Premio Calvino 1992), "Stirpe", "Nel tempo di mezzo" (finalista al premio Campiello e al premio Strega 2012), "L’importanza dei luoghi comuni", "Del dirsi addio" e saggi come "Manuale di lettura creativa" e "Quasi Grazia", proietta una luce particolare sul capolavoro di Alessandro Manzoni, dimostrando con dati alla mano perché sia eterno e immortale.
La storia in esso contenuta, anzi, le storie contenute e coloro che le vivono, infatti, sono dotate di un’anima propria avendo la capacità per niente scontata di uscire dal libro e parlarci ancora adesso. Fois adatta tutto ciò con collegamenti e rimandi che denotano in lui una profonda cultura umanista unita a un grande amore per l’arte in generale, fornendo anche degli spunti di riflessione su molti comportamenti che adottiamo nel quotidiano.
L’intervento, interessante e originale, inizia con “un’eccezione” – e si sa che l’eccezione conferma la regola – che si traduce in un mini pamphlet sul potere educativo della scuola:
Chi l’ha detto che I Promessi Sposi debba piacere? Il punto non è che piaccia, ma che “diverta”, che racconti cioè nell’ordine: che nazione siamo, che lingua parliamo, che cos’è un classico, fino a che punto ci conosciamo. Niente di direttamente piacevole insomma. Ma la piacevolezza diretta è una categoria che attiene all’intrattenimento e non alla formazione. Quella che noi stiamo cercando, anche attraverso il romanzo di Manzoni, è una piacevolezza a rilascio lento, spesso lentissimo. L’istruzione è un materiale di cui spesso si raccolgono i frutti dopo anni. La piacevolezza è un’eccezione […].
Ora, che l’opera in questione sia stata difficile e noiosa da assimilare durante gli anni scolastici è un dato pressoché unanime, ma raramente qualcuno spiega perché è necessario studiarla anche se non piace o non se ne ha semplicemente voglia. Se si è avuto almeno un educatore che questa spiegazione l’ha fornita, è da ritenersi fortunato.
Leggere un classico è come visitare i sotterranei di una città. In superficie, alla luce del sole, si stratifica il mutamento, ma là sotto, nel sistema circolatorio, si può individuare l’articolazione delle fondamenta, affascinanti, labirintiche, semplificate e sostanziali, come le sinopie sotto gli affreschi.
Ed ecco che in questo “sistema circolatorio” c’è un po’ di Iliade, Odissea e De rerum natura; il rapimento di Lucia ci ricorda quello di Elena di Troia, il vagare di Renzo dopo esser fuggito dal paese richiama alla mente il vagare di Ulisse nel Mediterraneo, o ancora il Decamerone di Boccaccio che viene menzionato con espressioni dirette. Insomma, molto più di mere suggestioni.
I personaggi, inoltre, trovano tra di essi e nei loro opposti la loro ragion d’essere: si vedano don Abbondio e padre Cristoforo o Lucia Mondella e la monaca di Monza.
Come Manzoni si è rifatto a opere da cui poteva attingere per scrivere la propria, altri artisti hanno fatto altrettanto e così la peste, metafora e ago della bilancia fra bene e male, quando si porta via la piccola Cecilia la cui veste candida emerge dal carro dei monatti dove la madre l’ha deposta, la individuiamo in Schindler’s List ed esattamente nella bimba con il cappottino rosso uccisa dalla barbarie nazista.
Giuseppe Verdi – il più manzoniano di tutti – ha saputo invece elaborare con l’aria Addio del passato della Traviata proprio il doppio Lucia/Gertrude, attraverso la protagonista Violetta.
La potenza dei I promessi Sposi sta anche nel suo essere innovativo e aver dato vita a situazioni che ora definiamo autonome e indipendenti: pensiamo di nuovo a Lucia quando rivendica la scelta di concedersi all’uomo che ama e nulla le farà cambiare idea, neanche il suo Renzo.
Alla fine del suo breve testo, Marcello Fois elenca quei modi dire che sono entrati talmente a far parte del nostro linguaggio da aver dimenticato, o non sapere, da dove provengano e a cui dobbiamo inchinarci ancora una volta al genio del narratore lombardo: ad esempio, “la perpetua” per intendere una collaboratrice domestica, essere un “vaso di terracotta”, “questo matrimonio non s’ha da fare” oppure, usato anche dagli insegnanti nel rivolgersi a un alunno non molto preparato,“ poche idee ma confuse”. Come disse Italo Calvino: “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire” e "Renzo, Lucia e io. Perché per me, I promessi Sposi è un romanzo meraviglioso" lo conferma in pieno.
Renzo, Lucia e io. Perché, per me, «I promessi sposi» è un romanzo meraviglioso
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Bella la recensione , ma devo dire che il libro sarebbe stato ancora più bello se fosse stato più approfondito, ad esempio cogliere i rapporti tra Manzoni e i moralisti francesi del 1600 o altre tematiche.
Grazie Patrizia.