Scrivere è un mestiere pericoloso
- Autore: Alice Basso
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Garzanti
- Anno di pubblicazione: 2016
Se la scrittrice milanese Alice Basso assomiglia anche solo un poco a Silvana Sarca, la protagonista dei suoi romanzi, allora sono nei guai.
Vani – questo è il soprannome che a qualcuno ricorda il nome di un cane – di professione fa la ghostwriter di un’importante casa editrice: scrive libri al posto di altri, rimanendo però nell’ombra. Per farlo, deve sfruttare una dote non comune: la capacità di capire le persone da piccoli particolari. Usa l’intuito per “entrare nella testa” di qualcuno, ricostruirne la personalità e leggergli dentro, interpretando gesti e modi di fare apparentemente insignificanti.
Perciò, se così fosse, ovvero se Alice Basso assomigliasse a Vani Sarca, innanzitutto si accorgerebbe che ho letto “Scrivere è un mestiere pericoloso”, senza conoscere il suo esordio, “L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome” – cosa che potrebbe non deporre a mio favore – e poi sarebbe estremamente diffidente verso i complimenti circa l’originalità dei personaggi, l’efficacia e la modernità della lingua e la struttura della trama, molto ben congegnata nella varietà di situazioni e di personaggi coinvolti.
Ma sono, questi, i rischi che si corrono nell’identificare l’autore con il suo protagonista, un atteggiamento piuttosto naturale nel caso in cui la professione sia la stessa. O pressappoco.
Infatti, se Alice Basso lavora per diverse case editrici come redattrice e traduttrice, scrive canzoni, suona il sassofono, cucina male e non pratica sport, Vani, in quattro ore, riesce a leggere un qualsiasi manuale, apprendendo abbastanza per spacciarsi per un’esperta dell’argomento; nello stesso tempo, può scrivere un capitolo di un libro di narrativa, due capitoli di un saggio tecnico o un intero discorso elettorale.
Quel che è certo, è che Vani è diretta, istintiva, non teme di giudicare gli altri ed è anticonformista fino a diventar indisponente: una “sociopatica controcorrente”, come lei stessa si definisce.
Odia il Natale, non ama cucinare, si nutre male (whiskey, birra e patatine, sì, ma al formaggio e conservate in frigorifero perché non diventino acide) ed ha un carattere “difficile”, anche se indubbiamente ironico:
“Ho trentaquattro anni. Da quasi venti mi vesto come se un incendio domestico mi avesse risparmiato solo i costumi di Halloween. Mi trucco in modo che Theda Bara avrebbe definito disturbante. Mi pettino come il sogno erotico di un cyberpunk (o, più semplicemente, come una che si taglia i capelli da sola nel bagno). (…) Ho la grazia di un minatore e il linguaggio di un ergastolano. Modestamente sono la creatura meno frivola e leziosa di mia conoscenza”.
Forse è stato l’isolamento, fin da piccola, in mezzo ai tanti libri che ha letto a renderla così, libera dalle convenzioni e un poco problematica, o forse è questione di DNA, ma nonostante tutto questo, piace.
Piace agli uomini – sarà contesa dal suo ex, l’affascinante autore Riccardo Randi, e da un nuovo, discreto quanto tenace spasimante –, e riesce ad essere apprezzata persino da alcune donne mature e da adolescenti di entrambi i sessi, apparentemente problematici o, a scelta, in crisi per ragioni sentimentali.
Veste, anche se non proprio con disinvoltura, costosi capi firmati e appare sulle pagine di riviste patinate dedicate ai vip.
Insomma, a dispetto dei suoi tentativi di isolarsi, di vivere in un mondo parallelo dove non ci sono villette in periferia con statue nei giardini e due nipotini gemelli con il moccio al naso, dove i ravioli non sono fatti in casa dalla nonna e i ragazzini se ne stanno alla larga, Vani è costretta a fare i conti con la normalità: partecipare a feste natalizie, portare tacchi alti, trovare ogni buona occasione per vendicarsi del proprio ex, trascorrere del tempo, in piacevole compagnia, cucinando ricette più o meno elaborate, tratte dalla memoria di Irma Envrin, la cuoca che ha lavorato per sessantasette anni per i Giay Marin – la dinastia torinese di bravissimi sarti che gode, dagli anni Sessanta, di una popolarità mondiale, grazie ad una clientela raffinata e discreta, ma che è stata anche protagonista di un episodio di cronaca nera per l’omicidio da parte di Aldo, reo confesso, del fratello Adriano, donnaiolo, ubriacone, incapace di condurre gli affari dell’azienda di famiglia.
Il nuovo incarico di Vani, affidatole da Enrico Fuschi delle Edizioni L’Edera, prevede infatti di andare da questa Irma, raccogliere le sue memorie e le sue ricette, per poi comporre un libro in cui ogni ricetta sia lo spunto per raccontare un pezzo della storia della famiglia – episodi privati e dettagli inediti. Il tutto sarà firmato da una food blogger famosa, amante del rosa in tutte le sue sfumature.
La signora, ora una simpatica ottantunenne, non solo è viva e vegeta, ma è anche pronta ad essere intervistata e, nonostante stia “perdendo qualche colpo”, si dimostra una grande, quanto inconsapevole, narratrice - tranne che per le ricette, che dà per scontate (salta i passaggi, sorvola sulle dosi e le mancano le parole per spiegare qualche dettaglio…).
Ma soprattutto, fra le cose che sa, che si ricorda e anche molto bene, c’è l’aver ucciso, diversi anni prima, Adriano Giay Marin.
Una rivelazione inattesa che Vani riferisce a Romeo Berganza, il commissario che l’ha fatta ingaggiare dalla Polizia di Stato come
“consulente in materia di comunicazione e relazioni pubbliche”.
In realtà, il commissario vuole che faccia quello che sa fare meglio: “entrare nella testa della gente” – come si diceva –, ma con delinquenti da far confessare, testimoni di cui verificare l’attendibilità, vittime la cui personalità va ricostruita per comprendere il contesto del crimine.
Dopo aver risolto in men che non si dica un caso di furto con pestaggio e un caso di presunto avvelenamento con funghi, Vani sa che c’è ancora bisogno di lei e del suo istinto per capire fino a che punto Irma stia dicendo la verità.
In “Scrivere è un mestiere pericoloso” Alice Basso si conferma una penna ironica, mai greve e, soprattutto, ben documentata.
Ci svela alcuni “segreti” dell’editoria e, più in generale, dello scrivere e del comunicare, facendoci riflettere su alcuni fenomeni moderni legati al diffondersi dei social media ed ai loro effetti, spesso nocivi e non sempre prevedibili.
Anche Vani non si smentisce e, coinvolta suo malgrado in situazioni esilaranti, imbarazzanti, intricate e persino pericolose (in cui dimostrare finalmente l’innata abilità nel maneggiare armi da fuoco), sarà costretta – presumibilmente nel prossimo episodio – a mettere ordine anche fra i suoi sentimenti.
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