Stirpe selvaggia
- Autore: Eraldo Baldini
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2016
Amerigo, protagonista di "Stirpe Selvaggia" si chiama così, perché è stato concepito in America. Ma lui l’America non l’ha mai conosciuta, perché ha sempre vissuto con la madre e i nonni nelle campagne romagnole. Un giorno insieme agli altri bambini va a Ravenna e vede per la prima volta la città.....
A Ravenna in quei giorni (siamo nei primi anni del ’900) è di stanza il favoloso circo del leggendario Buffalo Bill, che propone a un pubblico in visibilio lo spettacolo del selvaggio West: i cavalli, i bufali, i cowboy che danno la caccia agli indiani…. Il bambino Amerigo è attratto in particolare da questi ultimi, dai loro volti e dai loro abiti colorati e li osserva incantato. Quando poco dopo viene a sapere di essere il figlio del leggendario Buffalo Bill e che il padre rifiuta di riconoscerlo, si tinge la faccia come gli indiani e comincia a vivere come loro.
All’inizio è solo un gioco di bambino, un divertimento, ma l’etimologia della parola ci ricorda che “de-vertere” vuol dire: deviare, orientando su un altro sentiero i passi della propria esistenza. È ciò che accade ad Amerigo, per il quale ben presto il gioco diventa dramma e il divertimento una scelta di vita sempre più consapevole nel segno della ribellione.
All’icona vincente, ma fasulla del selvaggio West incarnata dal padre mancato, Amerigo preferisce infatti il selvaggio autentico degli indiani, seppur destinati all’emarginazione e alla sconfitta e una vita segnata da una guerra incessante, poetica e fatale, contro il mondo effimero del potere e dell’autorità. Spesso Eraldo Baldini, narratore e storico del folklore in Romagna, ci ha raccontato storie di iniziazioni che quasi sempre hanno per protagonisti dei bambini o degli adolescenti che in un giorno qualunque, in una campagna sconfinata e soleggiata come l’infanzia, scoprono loro malgrado dietro la sagoma familiare di un covone o un filare la zona ombrosa in cui l’infanzia finisce sconfinando nel mistero di una natura insondabile, più integra e reale della realtà apparente, dei suoi miti fasulli e delle sue false certezze.
Si respira in queste vicende, sospese tra un passato remoto e primitivo e la barbarie contemporanea, il sapore acre e nutritivo della paura, come nella favole della tradizione popolare che ne hanno tramandato per secoli la “Religio” (e come nelle sequenze visionarie del cineasta e conterraneo Pupi Avati). Sembrerebbe un esercizio futile di anacronismo, in un’epoca come la nostra consacrata al riso (ridere, ridere di tutto, per sdrammatizzare, neutralizzare il dolore e la morte, in attesa di un’idea migliore) quello di evocare la religione sorpassata della paura, del dolore, del pianto. E purtuttavia, nell’attrito con il sostrato atavico e profondo di una civiltà pre-moderna (che la modernità ha creduto di seppellire), la coscienza umana può ancora confrontarsi con il proprio ineluttabile limite. È in questo punto, ineffabile come il destino, che il bambino o il ragazzo, ferendosi per la prima volta con il sentimento autentico della Realtà, diventa uomo.
“Stirpe selvaggia” è un romanzo che sviluppa la trama di un breve racconto contenuto nella precedente raccolta “Bambini, ragni e altri predatori” (Einaudi, 2003). Nel segno di una continuità, di una profonda consapevolezza d’ispirazione da parte di Baldini: ritrovare nel particolare, nel diverso e nell’abnorme avvertito fuori e dentro di noi un’attenzione per la realtà di cui siamo fatti, un’appartenenza e prima ancora, forse, un luogo di memoria dove far consistere, nonostante l’odierna omologazione smemorante, ciò che siamo stati e ciò che ancora siamo.
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