Storia della colonna infame
- Autore: Alessandro Manzoni
- Genere: Classici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Sellerio
Concepita come disgressione storica da inserire nella “Ventisettana”, la prima edizione del Fermo e Lucia, poi diventato I promessi sposi, la Storia della colonna infame, pubblicata infine come appendice alla “Quarantana”, la decima edizione del romanzo, è in seguito diventata un’opera a sé stante, quantomeno dal punto di vista editoriale. E, verrebbe da affermare, unicamente da quel punto di vista, trattandosi di una dettagliata relazione di fatti realmente accaduti che vanno a integrare, e, anzi, a fungere da vera e propria base alle vicende del romanzo. Se, infatti, Manzoni immaginò la storia dell’amore contrastato di Renzo e Lucia ai tempi della peste che, nel 1630, aveva flagellato Milano, questa sua “appendice”, alla quale sembrò dare importanza di gran lunga minore, costituisce un prezioso documento storiografico che, lungi dal “fuorviare i lettori”, come il suo autore pensava avrebbe fatto se fosse stata inserita nel romanzo, ne spiega anzi ancora meglio le vicende, contestualizzandole e dando la giusta dimensione storica a una vicenda che troppo spesso, soprattutto al giorno d’oggi, viene da molti considerata con una certa annoiata superficialità.
Basandosi soprattutto su di un testo di Giuseppe Ripamonti, De peste Mediolani quae fuit anno 1630, Manzoni ricostruisce la vicenda di un “processo” (siano concesse le virgolette, in quanto si trattò, come vedremo, della ricerca non tanto della giustizia, quanto di un capro espiatorio) a due presunti untori, tenutosi appunto nell’estate del 1630 a Milano. Tale Caterina Rosa, una popolana, agendo da vera e propria delatrice, o, per meglio dire, calunniatrice, accusò Guglielmo Piazza, commissario di sanità, di essere un untore, avendolo visto, dalla propria finestra, aggirarsi in modo sospetto intorno a certi muri. Sottoposto a tortura, il Piazza, nel tentativo di salvarsi, coinvolse il barbiere Gian Giacomo Mora, e da ciò partì una catena di accuse estorte che si abbatté su altri innocenti, in un crescendo di accanimento da parte dei giudici, che, incapaci di riconoscere il proprio errore e di lasciare l’opinione pubblica senza un colpevole, si macchiarono dell’uccisione di diversi inermi a colpi di abusi di potere, basandosi su di una libera “interpretazione della legge”, e rasero al suolo la casa del Mora costruendovi sopra la famigerata “colonna infame”, oggi abbattuta.
Qualcuno, a questo punto, potrebbe classificare questo libro come un’interessante testimonianza di tempi passati che, però, poco o niente avesse a che vedere con la realtà di oggi: e sarebbe un gravissimo errore. La lettura di questo saggio storico, per quanto breve, non è certo di tutto riposo né scevra di difficoltà, ma ha l’importantissimo compito di portare il lettore a un continuo parallelo con il mondo attuale, e con i comportamenti dannosi, spesso assurdi, che sono ancora propri non solo della gente comune, ma non di rado delle stesse istituzioni. Partiamo dal fatto che l’attuale epidemia ha riportato alla ribalta la figura del delatore, quando non del vero e proprio calunniatore; proseguiamo esaminando l’eccessiva disinvoltura con la quale i giudici del tempo ricorrevano alla tortura per ottenere confessioni in assenza di prove, e proviamo a ricordare qualche fatto di cronaca riguardante certi comportamenti di indegni esponenti delle forze dell’ordine; riflettiamo, infine, sull’impossibilità del Ripamonti di sostenere una tesi contraria a quella dell’opinione pubblica…
In questa edizione (Sellerio 1981) importantissima è la nota di Leonardo Sciascia, una vera e propria sferzata alle critiche mosse a questa opera manzoniana da parte di vari letterati, primo fra tutti Fausto Nicolini, che aveva accusato l’autore di “non tenere conto dell’epoca nella quale i giudici vivevano”. Al contrario, afferma Sciascia, tale scusa non è assolutamente sufficiente a giustificare tanta barbarie. “La tortura c’è ancora. E il fascismo c’è sempre” afferma lapidario, proiettando l’ingiustizia in una dimensione senza tempo, e facendo poi un ulteriore parallelo: quello fra le promesse di impunità fatte a chi denunciasse i propri complici, che portarono a invenzioni e false accuse per salvarsi la vita, e la pratica dei “pentiti” di mafia tanto amata dai giudici italiani negli anni Settanta/Ottanta. A dimostrazione del fatto che l’umanità, purtroppo, non impara dai propri errori.
Storia della colonna infame
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Un libro perfetto per...
Seppur meno conosciuto, è sempre e comunque un classico: dovrebbe fare parte della cultura di base di ciascuno di noi.
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