Trilogia della rabbia
- Autore: Luciano Bianciardi
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Feltrinelli
- Anno di pubblicazione: 2022
Nello scorso ottobre la casa editrice Feltrinelli ha pubblicato riunendoli in un unico volume col titolo Trilogia della rabbia tre romanzi di Luciano Bianciardi: Il lavoro culturale, L’integrazione, La vita agra.
Scherzosamente anni orsono un critico ha osservato che Luciano Biancardi in vita - per ironia anti-gogoliana - ha cucito cappotti a tutti, come si usa dire in Liguria di uno che parla male delle cose e del prossimo.
A pagina 37 si ricorda un curioso episodio:
"durante la settimana di Pasqua un prete faceva la sua predica sulla passione e sulla morte di Gesù, e le donne, ad un certo punto, nel sentir raccontare così bene la flagellazione, la tortura, la corona di spine, i chiodi conficcati nelle mani... si misero a piangere. Al buon sacerdote dispiacque di aver provocato tanto dolore, e così si interruppe, e rivolgendosi direttamente alle fedeli, fece: Via, figliole, non piangete così. Quello che vi ho narrato è successo tanto tempo fa, e forse non è nemmeno vero".
Ne La vita agra, Bianciardi scaglia la sua invettiva contro Milano sulla scia emotiva e linguistica di Carlo Emilio Gadda.
Tra le tante citazioni che si potrebbero fare, significativa è quella di pagina 245
"Il caffè oggi lo prendiamo doppio al bar delle Antille... ma solo noi due, io e Carlone a parlare delle parti nostre e di come era la domenica laggiù, noi fermi in piazza del Duomo a guardare le ragazze col petto che escono dalla messa di mezzogiorno. Anche qui certo faranno le messe ma a guardare sul sagrato non c’è nessuno.
Un discorso tira l’altro e si arriva lemme lemme al tocco, il tocco e mezzo quando spunta l’appetito e si decide di andare assieme al Bersagliere che con ottocento, ottocentocinquanta lire ti dà la pastasciutta e la costata e magari anche un quartino di vino e una mela. La costata bisogna dire alla cameriera perché se dici bistecca ti dà la braciola e se dici braciola non ti dà niente, rimane lì incantata a dire prego signore.
Bisognerebbe fissare per legge come si chiamano in Italia e con un nome solo, i vari tagli della vitella, il lombo, la fesa, che non avevo mai sentito dire prima d’ora, la fesa francese, la piccata, la paillard, l’ossobuco, il filetto, il controfiletto, il nodino, il biancostato e il magatello."
L’autore ne Il lavoro culturale traccia una difesa della vita in provincia.
Ma quando la scrive, lui non è già più in provincia, risiede a Milano da qualche anno: dunque nella difesa è presente una certa dose di ironia.
A Milano ha cercato di illudersi di poter fare di più partecipando a una grossa iniziativa culturale, la nascita di una casa editrice veramente nuova, veramente diversa da ogni altra, la Feltrinelli.
Ma quando scrive Il lavoro culturale gran parte delle illusioni milanesi sono già svanite. Ai giorni nostri la rilevazione dei luoghi comuni della rivoluzione culturale mancata è diventata luogo comune a sua volta. Ma questa constatazione non può annullare il merito di Luciano Bianciardi di essere stato tra i primi e i più drastici a compiere tale rilevazione.
La vita agra è la continuazione di L’integrazione, come L’integrazione è la continuazione di Il lavoro culturale. Ma mentre l’integrazione contrapponeva alla rappresentazione del mondo provinciale di Il lavoro culturale la rappresentazione del mondo metropolitano, La vita agra non cambia orizzonte.
Sviluppa la rappresentazione di Milano già tracciata ne L’integrazione, quando in tappe successive la metropoli si rivela ai fratelli Marcello e Luciano Bianchi, le due figure in cui si sdoppia la personalità di Bianciardi, l’opposto di quel luogo di meraviglie e di godurie che credevano o, meglio, volevano far credere.
La trilogia è preceduta da una prefazione, non di circostanza, dello scrittore Francesco Piccolo, di cui si riprende qualche brano:
"L’Italia non può essere cambiata perché è troppo felice di sé stessa. E la dimostrazione sta appunto nel successo del romanzo, nell’entusiasmo che il mondo intellettuale prova nel vedersi raccontato a quel modo - nel vedersi denigrato. È il modo in cui vengono sconfitti i rabbiosi: dando loro ragione."
Gli scrittori importanti per una legge non scritta ma che difficilmente conosce eccezioni, alla loro morte patiscono un periodo più o meno lungo di oblio. Vedi Sartre, vedi Thomas Mann; o per restare in Italia i casi di Moravia e Sciascia. Prima o poi rinascono a nuova vita. Per Luciano Bianciardi il merito della fine della sua quarantena va attribuito a due persone, Oreste del Buono, il cui leitmotiv è ripreso in parte in questa recensione, e Pino Corrias, di cui si segnala Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a Milano, disponibile per Feltrinelli.
Trilogia della rabbia: Il lavoro culturale-L'integrazione-La vita agra
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